L'Italia cancella l'arte
Dov'è l'Italia nell'arte internazionale? Quasi assente, se si sfogliano i libri-elenco che Phaidon press partorisce quasi ogni anno. La formula dieci curatori-cento emergenti non ha mai lasciato spazio a più di quattro italiani e di solito il massimo è uno. La mostra di Maurizio Cattelan che ha animato l'autunno 2011 al Solomon Guggenheim museum di New York ha avuto un'accoglienza critica guidata da una tiepida Roberta Smith e seguita da firme acidule: lo stesso copione che da sempre contraddistingue le poche presenze italiane in quella sede. Le personali di Lucio Fontana (postuma, 1977), Enzo Cucchi (1982), Mario Merz (1989) hanno suscitato nei decenni reazioni perplesse, con attacchi velati o indifferenza. Ancora oggi, nonostante l'avanzata sulla scena di artisti di nazioni ben più aggressive dell'Italia come Cina e Brasile, offrire un riconoscimento all'Europa e quindi all'Italia sembra infastidire l'America: retaggio di una politica di supremazia culturale coltivata fin dal dopoguerra.
Angela Vettese |
Qualcosa, invero, sta cambiando: l'ha detto nel 2009 una mostra di caratura museale dedicata dalla galleria Gagosian di New York a Piero Manzoni, ormai assurto a un olimpo concettuale da cui sarà difficile scalzarlo; lo ha ribadito nel 2010 la ricognizione filologica dedicata a Michelangelo Pistoletto dal Philadelphia museum of art; lo dice ora la retrospettiva al MoMA di New York di Alighiero Boetti, che negli anni Ottanta era stato epurato dalle mostre dell'arte povera per eccesso di produzione ma che, da morto, non fa più paura. Lo dice infine la mostra che Gagosian ha dedicato dal 3 maggio 2012 agli ambienti di Lucio Fontana: finalmente è arrivato un riconoscimento molto atteso, per cui si ammette che l'artista fu il primo al mondo a occuparsi di arte ambientale in modo non episodico. Queste riscoperte non parlano però di un avanzamento del sistema Italia nel suo complesso, il quale anzi risulta privo di un coordinamento e di massa critica nel promuovere i suoi talenti emergenti. C'è un'intera generazione che aveva lasciato ben sperare e che è quasi sparita, almeno come presenza alle aste e alle fiere: gli scambi di opere di artisti che abbiamo meno di cinquant'anni sono poco attraenti, anche perché i galleristi che li propongono non hanno sufficiente denaro per difenderli veramente. Parimenti, nonostante i tentativi di fare sistema con organizzazioni quali Acacia (collezionisti) o Amaci (musei), la committenza privata e pubblica italiana ha mostrato di non sapersi coordinare.La struttura ministeriale e legislativa che dovrebbe proteggere la nostra produzione artistica consente pochi vantaggi fiscali e spinge i collezionisti a comprare altrove. L'arte contemporanea (come del resto quella antica) non è considerata una priorità: basti dire che la riforma Gelmini per la scuola secondaria ha diminuito le ore di insegnamento di storia dell'arte. I nostri giovani artisti scontano dunque peccati di lungo corso che non prevedono correttivi futuri. Teniamoci stretto, quindi, l'unico motore che non ha mai smesso di funzionare, la Biennale di Venezia come luogo di diplomazia culturale. Non parla d'arte italiana, ma quantomeno dell'Italia come polo che attrae, preserva ed espone il prestigio degli altri. La manovra a tenaglia in cui possiamo sperare passa appunto, da un lato, dal lento ma costante riconoscimento di alcuni classici all'estero, dall'altro, dall'uso del Belpaese e della Biennale come vetrina internazionale.