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L’inerzia può ancora costarci più di 250 miliardi da qui al 2020

, di Andrea Gilardoni - direttore del Meges, il master universitario in economia e gestione dei servizi di pubblica utilità alla Bocconi
Tra il 2005 e il 2007, però, il sistema si è mosso, e i danni del non fare sono stati inferiori al previsto

Talvolta ci si sorprende dei tempi impiegati per la costruzione delle infrastrutture fondamentali per lo sviluppo del paese, troppo spesso ritardata, o bloccata, da fattori talvolta accettabili, in altri casi infondati. Inerzie e opposizioni che hanno avuto l'effetto di porre a repentaglio la crescita. Poiché il benessere di un paese è connesso alla sua dotazione infrastrutturale, si sta diffondendo l'idea che l'inerzia ha un costo che può assumere livelli molto onerosi. Perciò abbiamo avviato una sistematica attività di studio e monitoraggio della problematica (www.costidelnonfare.it) per misurare i danni sostenuti dalla collettività per l'inerzia e per dimostrare se, e in che misura, il "non fare" abbia un costo.

Abbiamo messo a punto una metodologia basata sulla Cost benefit analisys (Acb), la quale, pur con i limiti connessi alle difficoltà di stimare economicamente gli effetti a livello ambientale e sociale, consente una razionale valutazione dei progetti, sia già realizzati che da attuare. Per calcolare il costo del non fare (Cnf) a livello di paese siamo partiti dall'Acb riferita a specifici progetti; con un processo di generalizzazione abbiamo determinato i Cnf a livello di classe di impianti e infrastrutture e, infine, in maniera indicativa, a livello di sistema complessivo. I nostri studi sono stati improntati a principi di prudenza, assumendo le ipotesi più sfavorevoli dal punto di vista operativo, economico e ambientale. Ciò ha portato a sottostimare, piuttosto che a sovrastimare, gli effetti della mancata o ritardata realizzazione delle infrastrutture.

Nel 2006, per valutare l'impatto dei ritardi o delle mancate realizzazioni, abbiamo calcolato i Cnf di alcune infrastrutture funzionali allo sviluppo del paese tra il 2006 e il 2020 nei settori dell'energia, dei rifiuti, della viabilità e delle ferrovie ad alta velocità: tale costo ha un valore stimato di 338 miliardi di euro.

Si è calcolato che per evitare tali costi, entro il 2020 si dovrebbero realizzare 5 centrali a carbone da 1.000 mw e 16 centrali a gas da 800 mw, 4.800 km di elettrodotti e 3 rigassificatori da 8 Gm3; 109 termovalorizzatori da 200 kton, 80 impianti di compostaggio da 45 kton e 4 impianti per recupero di scarti da cartierada 120 kton; 1.926 km di tangenziali a pedaggio e autostrade e 1.172 di linee ferroviarie ad alta velocità. I risultati sono riferiti a obiettivi di policy settoriali che scaturiscono dalle normative comunitarie e nazionali.

Nel 2007, considerando le infrastrutture portate a termine tra il 2005 e il 2007, abbiamo valutato il costo sostenuto dal paese nel triennio per ritardi realizzativi nei comparti considerati. Il costo del non aver fatto (Cnaf) è stato di 14,2 miliardi di euro.

Se nulla fosse stato fatto, si sarebbe sostenuto un onere di 63,4 miliardi di euro (Costo del non fare previsto, Cnfp). Tuttavia, le realizzazioni hanno consentito di non sopportare tali costi e di realizzare benefici per 72,1 miliardi euro (Beneficio dell'aver fatto, Baf). Tali benefici risultano significativi nei settori energetico e ferroviario ad alta velocità, poiché si è fatto più di quanto da noi prudenzialmente ipotizzato, facendo emergere un extra Baf di circa 20 miliardi di euro. Tuttavia, i risultati vanno osservati con cautela: per il futuro emerge che vi è ancora parecchio da fare e se prevarrà l'inerzia, nel periodo 2008-2020 i costi potenziali per la collettività ammonteranno a 251 miliardi di euro.

Per capire che fare si devono focalizzare le cause di questa situazione:le carenze del sistema di pianificazione, autorizzazione e realizzazione delle infrastrutture e degli impianti strategici. Tali carenze discendono dalle lungaggini burocratiche e procedurali, gli assetti legislativi, la pianificazione finanziaria, le opposizioni sociali, la troppo facile opportunità di ricorso ai tribunali amministrativi, oltre che dall'inerzia politica e dalle difficoltà progettuali.

L'incapacità del sistema politico-amministrativo di fissare priorità di intervento e di portare a termine quanto previsto e la sua scarsa assunzione di responsabilità sono i principali ostacoli alla realizzazioni infrastrutturali. Esso deve recuperare la capacità di leadership enucleando i progetti fondamentali per lo sviluppo e questi, una volta approvati, devono avere una corsia preferenziale e una logica gestionale che minimizzi le opposizioni, soprattutto se infondate. Per far ciò, abbiamo suggerito l'istituzione di un soggetto responsabile delle realizzazioni, l'infrastructure manager. Infine, è necessario reimpostare il processo di pianificazione e di autorizzazione delle opere, anche per distinguere il ruolo del sistema politico da quello degli apparati tecnici.

L'evoluzione dei Costi del non fare