L'imbroglio libico e le trasformazioni del diritto internazionale
Il ruolo preminente che il Consiglio di Sicurezza dell'ONU ha avuto nel dare una svolta internazionale a quella che era iniziata come una rivolta interna di oppositori contro il regime libico, ha segnato una nuova tappa nell'evoluzione del diritto internazionale verso un'ingerenza sempre più ampia negli assetti di governo degli Stati coinvolti in caso di crisi.
Fino a tempi recenti l'Onu si atteneva all'art. 2 della sua Carta: "Nessuna disposizione della presente Carta autorizza le Nazioni Unite a intervenire in questioni che appartengono essenzialmente alla competenza interna di uno Stato". Il divieto d'intervento e ingerenza negli affari interni di altri Stati è considerato da sempre un pilastro delle relazioni internazionali, a tutela dei paesi più deboli dalle mire di stati più potenti. Certo, la Carta dell'Onu affida al Consiglio di Sicurezza il compito di mantenere la pace e la sicurezza internazionale, anche con misure coercitive che tutelino questi valori essenziali dell'ordine mondiale tra le nazioni. Ai loro confini però tradizionalmente l'azione internazionale si ferma. Nel 1975 una solenne Dichiarazione dell'Assemblea generale sulle relazioni amichevoli tra gli Stati proclamava che "non solo l'intervento armato, ma anche ogni altra forma di ingerenza o di minaccia, diretta contro la personalità di uno Stato o contro le sue strutture politiche, economiche e culturali, sono contrarie al diritto internazionale". Molta acqua è passata davanti al Palazzo di Vetro, soprattutto dopo la fine della Guerra Fredda, da quando le guerre civili si prolungavano tra stragi e fughe di profughi non solo nell'indifferenza degli altri paesi ma all'insegna dell'obbligo per gli Stati terzi di non intervenire né a favore del governo legittimo né degli insorti. A partire dai conflitti nella ex-Iugoslavia, l'attacco ai civili, la violazione di diritti umani e le pulizie etniche sono stati considerati non più eventi interni a un paese, ma questioni di rilievo internazionale che legittimano l'azione dell'Onu. Eppure persino in quelle circostanze l'Onu non aveva voluto dare la sua autorizzazione ai bombardamenti Nato sulla Serbia per fermare le milizie di Milosevic in Kossovo nel 1999. Con la risoluzione n. 1973 del 17 marzo l'Onu ha compiuto un passo avanti importante, autorizzando per la prima volta l'intervento armato per tutelare la popolazione civile in rivolta contro il regime, che peraltro fino a pochi giorni prima era da tutti riconosciuto come legittimo. Il "nuovo" principio su cui il Consiglio di Sicurezza si è fondato è quello della "responsabilità di proteggere" i propri cittadini che tutti gli Stati hanno e che è incompatibile con una repressione sanguinaria. D'altra parte per ottenere il consenso di tutti i membri permanenti del Consiglio con diritto di veto la risoluzione è ambigua: le azioni militari della Nato sono state autorizzate non per abbattere Gheddafi ma per far cessare l'aggressione delle sue forze contro la popolazione, tramite la loro distruzione, senza peraltro ricorrere a interventi militari stranieri di terra. Una difficile quadratura del cerchio che porta ad attacchi non dichiarati ma in verità diretti a far fuori il leader libico che non vuole abbandonare il potere, mentre gli insorti non sono in grado di scalzare il regime di Tripoli nonostante l'ottenuto riconoscimento internazionale. Uno scenario d'impantanamento ben diverso da quello che l'Onu e la Nato si prospettavano.