L'etica veste Prada
Se si parla di responsabilità sociale d'impresa (csr), le aziende del lusso e della moda sono in ritardo rispetto a quelle di altri settori. Ciò è dovuto a un modello comunicativo e di consumo basati sulla costruzione del sogno del brand (i top brand francesi e i mass brand americani hanno fatto scuola) e sulla partecipazione del consumatore a un immaginario aspirazionale nel quale le componenti sostanziali sono secondarie rispetto a quelle emozionali. La crisi economica ha però dato di recente un'accelerazione al dibattito sulla csr, intesa come attenzione agli stakeholder, salvaguardia dell'ambiente e della salute, trasparenza ed etica delle condizioni produttive.
![]() |
Salvo Testa |
Un cambiamento del sistema di valori che sembra aver fatto breccia anche tra le imprese della moda/lusso: le strategie competitive dei principali brand stanno ridando centralità alla qualità e all'innovazione di prodotto e si sta diffondendo una consapevolezza sulle tematiche della tracciabilità, della salvaguardia dell'ambiente, della sostenibilità dei processi aziendali. Per le aziende italiane il recupero di una focalizzazione sul prodotto e sui processi di design, industrializzazione e produzione ha rilevanza per la competitività: l'Italia è l'unico paese occidentale in cui è sopravvissuto un sistema industriale articolato che lavora non solo al servizio dei brand italiani, ma anche dei maggiori brand internazionali D'altra parte, il genius loci, oltre a incorporare un know how esclusivo, rappresenta anche un valore aggiunto d'immagine: il successo delle quotazioni di Ferragamo, Prada e Brunello Cucinelli, aziende fortemente radicate nei propri territori, ne è la testimonianza.
In particolare il caso di Cucinelli è la prova tangibile di come anche nelle aziende del lusso si faccia strada una nuova concezione sul ruolo dell'impresa, in cui si fondono responsabilità sociale ed etica. Una visione che si basa sulla continua ricerca di un contemperamento degli interessi fra tutti gli attori che direttamente e indirettamente contribuiscono alla sua esistenza: non solo azionisti e manager, ma anche dipendenti e collaboratori, clienti, fornitori, cittadinanza locale, istituzioni pubbliche. Le aziende italiane della moda e del lusso sono le meglio attrezzate, rispetto a quelle di altri paesi maturi ed emergenti, per perseguire tale modello di lusso responsabile ed etico, perché i valori che ne stanno alla base, seppure fossero ultimamente sopiti, fanno parte del loro dna storico, sviluppatosi nelle comunità sociali, culturali ed economiche dei distretti industriali. È quindi un buon segno che oggi si riprenda a parlare di Made in Italy (magari riconsiderando strategie di delocalizzazione produttiva motivate da ragioni di puro risparmio di costi) e anche di etica dell'impresa.
Se in passato le finalità economiche e quelle sociali erano considerate in conflitto, tanto da giustificare in nome del profitto comportamenti delle imprese moralmente discutibili, oggi pare che tale trade-off possa essere colmato. D'altra parte è evidente che una maggiore attenzione a tutti gli stakeholder dell'impresa produce migliori performance economiche, specie nel medio-lungo termine: ciò attraverso il rafforzamento della reputazione dell'azienda (brand equity e brand loyalty), il maggiore coinvolgimento e fedeltà dei propri dipendenti, il rafforzamento della capacità innovativa, la propositività dei fornitori e partner nella filiera, lo sviluppo di un clima positivo da parte delle comunità locali e della società in generale, un rapporto di fiducia da parte dei media e dell'opinione pubblica. In conclusione, oggi la moda responsabile ed etica può essere al tempo stesso cool e profittevole.