Le regole che fanno girare le ecoballe in Campania
Quando venne promulgata, sessanta anni or sono, la Costituzione italiana non si occupava del tema, ma nel 2001, con la riforma del Titolo V, l'ambiente fa capolino nella trama della nostra fonte più elevata, sotto il profilo del riconoscimento della potestà legislativa esclusiva dello Stato.
Nel frattempo il nostro legislatore si era già mosso, anche se, a dire il vero, spesso sotto l'influenza dell'Unione europea e del diritto internazionale, che hanno svolto un decisivo ruolo di supplenza e di impulso.
Nel 2006 è stato poi emanato un "codice dell'ambiente" (d.lgs. 152/2006), subito oggetto di critiche (si è ad esempio sostenuto che sarebbe incompleto, nonché poco rispettoso del diritto comunitario e del ruolo delle regioni) e di proposte di modifiche, recentemente sfociate nell'emanazione di un incisivo decreto correttivo (d.lgs. 4/2008). Alcuni meriti vanno ad esso riconosciuti: ha ad esempio diminuito la frammentazione legislativa, stabilendo in un solo testo normativo regole, limiti, sanzioni, prescrizioni in materia di tutela delle acque, dell'aria, di rifiuti, di valutazione di impatto ambientale e strategica, di danno ambientale.
Anche i giuristi si sono occupati di ambiente. Ciò in realtà è avvenuto da decenni, da quando gli studiosi più sensibili si sono posti il problema di visualizzare il fenomeno dell'uomo che, da aggressore dell'ambiente, si tramuta in aggredito.
E quali soluzioni sono state escogitate? Inforcati gli occhiali della tradizione, che si fonda sul concetto di diritto soggettivo, baluardo inespugnabile della libertà dell'uomo contro le prevaricazioni altrui, i giuristi hanno generalmente parlato di un "diritto all'ambiente".
Sotto l'urgenza di trovare un qualche ancoraggio costituzionale – l'occasione era troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire – il richiamo all'articolo 32 della Costituzione, relativo al diritto fondamentale alla salute, ha completato il disegno. Ecco spiegata la genesi della nozione di "diritto all'ambiente salubre", proiezione perfetta sul piano giuridico di quell'antropocentrismo di origine anche cristiana che ha da sempre condizionato il dibattito sull'ambiente.
Questa ricostruzione, tuttavia, non spiega la solidarietà, gli impegni verso le generazioni future (su cui in fondo si basa lo sviluppo sostenibile, diffusamente disciplinato anche dal codice dell'ambiente), la responsabilità verso ciò che non è umano (anatre, conigli) o, addirittura, non è salubre per l'uomo (il coccodrillo, il serpente) e la struttura delle nostre leggi, che non garantiscono alcun diritto ai cittadini in ordine all'ambiente in quanto tale. Insomma, la pretesa a vivere in un ambiente salubre stride con il buon senso e con l'intonazione che assume il dibattito attuale, quasi come se si trattasse di un errore di visuale.
Thomas Kuhn parlava di riorientamento gestaltico quando invitava a vedere un coniglio nel disegno che sembra rappresentare un'anatra.
Che sia sufficiente abbandonare l'antropocentrismo dei diritti (come dire... mettersi nei panni del coniglio), per improvvisamente comprendere che l'ambiente non è altro che l'oggetto di un dovere dell'uomo?
Questo è un suggerimento prezioso anche per il giurista. Fenomeni quali l'emergenza rifiuti, il Protocollo di Kyoto, i disastri naturali e la protezione dell'ecosistema potrebbero così essere giuridicamente inquadrati nella prospettiva dei doveri inderogabili di solidarietà cui fa cenno l'articolo 2 della Costituzione.
Anche questa norma, a ben vedere, ha talora subito la sorte del "disegno dell'anatra": impone doveri, ma si è abituati a ricordarla perché protegge i diritti fondamentali.
Pensando ai fatti di questi giorni ci si rende conto di quanto sia pericoloso e frequente –nonché pericolosamente frequente- l'atteggiamento dell'uomo che accampa soltanto diritti. Esistono pure i doveri (certo, non disgiunti dalle correlative responsabilità!): l'ambiente è uno di quelli.