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Le consumatrici che detestano l'insostenibile leggerezza delle modelle

, di Diego Rinallo - assistant professor del Dipartimento di marketing della Bocconi
Non sempre scatta la lettura del marchio come oggetto magico, capace di rendere più magre e più belle. E in questi casi è meglio fare percorsi alternativi

La pubblicità è da sempre sotto accusa per il suo ruolo nella diffusione di ideali di bellezza impossibili da conseguire per gran parte dei consumatori, con conseguenze negative sull'immagine di sé, sulla soddisfazione per il proprio corpo, sull'auto-stima, fino ai casi più gravi di disturbi dell'alimentazione. La moda, in quanto forza potente nella definizione dei canoni estetici della società contemporanea, è spesso al centro di critiche in questa direzione.

Negli ultimi mesi hanno fatto notizia le tragiche morti per anoressia di due giovani modelle. Gli organizzatori di alcune delle principali fashion week in giro per il mondo hanno reagito alla crisi studiando codici di autoregolamentazione che definiscono soglie minime alla magrezza delle modelle, a volte subendo per questo motivo le proteste dei brand. La preferenza per taglie extrasmall è infatti ormai istituzionalizzata nel mondo della moda, coinvolgendo trasversalmente stilisti, direttori dei casting, agenzie di modelle e fotografi.

Ma cosa ne pensano le consumatrici? Gli studi più recenti mostrano che insistere con modelle eccessivamente belle o magre può generare reazioni di rifiuto da parte delle "donne vere" che, in ultima analisi, decretano il successo di mercato dei brand di moda. Quando una donna guarda un messaggio pubblicitario contenente una modella "bella da morire", due sono le possibili strategie interpretative. Se le cose vanno bene per il brand, la reazione è di tipo narcisistico: si ambisce a diventare come la modella e il brand diventa uno strumento magico in grado di trasformare e rendere la consumatrice bella e desiderata. A parole, non ci crederebbe nessuno: ma tale è il potere della comunicazione visiva. Esiste però un rischio che molte aziende di moda sottovalutano, quello di una lettura di rigetto. La bellezza della modella viene considerata "finta", "di plastica", "inautentica", "frutto di photoshop". La modella stessa viene commiserata per tutte le rinunce che ha dovuto subire: "Non si è mai divertita", "digiuna sempre", "non ha una vita vera". Di fronte a tale iconoclastia, il messaggio viene decostruito e il brand non si salva: "Come si fa a credere che indossando un paio di jeans ci si trasformi in una dea?", "vogliono solo arricchirsi facendoci sentire brutte e grasse". E i recenti fatti di cronaca, almeno nel breve periodo, renderanno un po' più probabili queste letture.

Come evitare il rischio di letture negative, che compromettono i ritorni sugli ingenti investimenti in comunicazione? Alcuni brand stanno portando avanti (con coraggio, dato che nuotano controcorrente) iniziative che non si possono non giudicare favorevolmente. Si tratta di aziende che propongono nelle proprie iniziative di comunicazione "donne vere con curve vere", facendosi veicolo di un ideale di bellezza meno invasivo e più rispettoso nei confronti di chi ha un corpo che perfetto non è. I professionisti della moda dovrebbero prendere esempio da questi esempi, ancora di frontiera, e riflettere seriamente sulle conseguenze non intenzionali della comunicazione di marketing. In pubblicità, le "ragazze della porta accanto" e le "donne vere" sono un modello vincente, sia da un punto di vista etico (piaceranno alle femministe) che da quello del business.