Le armi spuntate dell'Unione per indurre la disciplina di bilancio
Non si può non condividere l'analisi di Giuliano Amato (Il Sole 24 Ore, 2 maggio) che ha individuato quattro principali responsabili della crisi greca: il governo ellenico, arrivato in passato anche a truccare i conti per mascherare una situazione economica e finanziaria preoccupante; la Germania, riluttante nel concedere l'assenso alle operazioni di salvataggio per questioni elettorali interne; l'Ue stessa, per la mancanza di adeguate norme e procedure per fronteggiare i momenti di crisi, e le agenzie di rating, che, benevole verso la "spazzatura finanziaria" privata, hanno assunto un atteggiamento severo nei confronti del debito di uno stato membro dell'Ue.
La responsabilità principale, tuttavia, va imputata a tutti gli stati membri, riluttanti a introdurre nel Trattato Ue adeguati meccanismi di controllo e sanzionatori in grado di assicurare la convergenza delle politiche fiscali e di bilancio. Il sistema di Maastricht, in sostanza invariato con il Trattato di Lisbona, prevede che il mantenimento della convergenza dovrebbe essere assicurato attraverso le regole che fissano specifici vincoli ai bilanci pubblici e la relativa procedura per assicurarne il rispetto (la cosiddetta procedura per disavanzi eccessivi) e con gli obblighi in termini di coordinamento delle politiche economiche nazionali.
Tuttavia, come si è visto, le rilevazioni statistiche del sistema Eurostat lasciano margini agli stati di dichiarare il falso e la prassi dei primi anni dell'Ue ha dimostrato tutte le difficoltà nell'applicare sanzioni per disavanzo eccessivo nei confronti dei paesi membri. Il problema è che tale procedura rientra fra le misure di controllo politico nei confronti degli stati membri, sottratta, pertanto, al controllo giurisdizionale della Corte di giustizia. Si pensava che il sistema avrebbe potuto funzionare grazie al controllo esercitato dagli stati più virtuosi su quelli più indisciplinati. Nella prassi, tuttavia, i governi nazionali hanno preferito ignorare le reciproche inadempienze: proprio la Germania (con la Francia), aveva evitato nel 2003 le meritate sanzioni per violazione degli impegni di bilancio grazie all'assenza del necessario consenso politico fra gli stati membri in sede di Consiglio (organo partecipato dagli esecutivi dei membri Ue). Peraltro, tale circostanza aveva indotto i membri a procedere alla revisione del patto di stabilità originario per rendere più flessibile la procedura di rientro dei disavanzi eccessivi di bilancio. Anche gli obblighi di coordinamento delle politiche economiche nazionali nel quadro degli indirizzi di massima definiti annualmente dal Consiglio sono più nominali che reali: gli stati rimangono pienamente responsabili delle loro politiche fiscali e la massima sanzione che può comminare il Consiglio in caso di discostamento dagli indirizzi di massima è quella di rendere note (!) le raccomandazioni fornite per richiamare lo stato a rivedere le proprie politiche economiche.La crisi economica e finanziaria non ha fatto che smascherare tutte le debolezze del sistema di regole e di governance dell'Ue. Oltre al danno, poi, anche la beffa di osservare società private statunitensi quotate in borsa (le agenzie di rating) che, almeno corresponsabili della peggiore crisi economico-finanziaria dal dopoguerra, riescono ancora, con il loro giudizi sul debito dei vari attori finanziari, a influire in modo determinante sugli operatori. Anche in questo caso, però, l'Ue può solo recitare il mea culpa: chissà se a qualcuno è mai venuto in mente di creare un'authority europea indipendente, a capitale pubblico, che sia una vera agenzia di rating credibile anche dal punto di vista istituzionale?