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La rivincita del fattore umano

, di Arnaldo Camuffo - ordinario di organizzazione aziendale alla Bocconi
Cavalca la globalizzazione chi non ragiona solo in termini di costo

Imprese come General Electric, Ibm e Procter & Gamble derivano circa il 70% del loro valore di mercato da asset intangibili, e buona parte di questo valore è costituita dal capitale umano.

L'indagine annuale di Fortune sulle most admired companies, mostra che le imprese leader nelle rispettive industrie raggiungono performance finanziarie, competitive, sociali e di innovazione più elevate grazie alla qualità del management e dei sistemi di gestione delle risorse umane.

Nella competizione globale, sono le scelte sul capitale umano a fare la differenza e anche se la globalizzazione tende a elevare e omogeneizzare gli standard di prestazione, ciò non implica la convergenza e l'isomorfismo dei modelli di gestione delle risorse umane. Anzi è proprio nella ricerca dell'innovazione nel campo del people management che le imprese possono creare differenziali competitivi. Nel settore della grande distribuzione, imprese di grande successo come Wal-Mart, Costco e Tesco adottano politiche di gestione delle risorse umane assai diverse (Wal-Mart, tutta centrata su riduzione dei costi retributivi e sulla sostituibilità del personale; Costco basata sulla riduzione del turnover, la fidelizzazione del personale e retribuzioni legate a skill e produttività). Analogamente, anche in settori maturi e labor intensive spostare sistematicamente le fonti di fornitura alla ricerca del costo del lavoro orario più basso non garantisce vantaggi competitivi sostenibili.

Luxottica, leader mondiale nell'eyewear, continua a realizzare una quota rilevante dei propri volumi produttivi in Italia e affianca alle strutture produttive italiane operations in Cina interamente possedute e gestite secondo standard italiani. Decisioni basate sul costo del lavoro orario senza tener conto delle professionalità, della produttività totale dei fattori, dei costi organizzativi, possono essere fuorvianti, soprattutto per prodotti posizionati sul high end del mercato e per quelli il cui tasso di innovazione e i tempi di risposta al mercato sono brevi.

Certo, la globalizzazione della competizione e dei mercati pone una pressione spietata sui risultati, soprattutto di breve periodo. Gli annunci di riduzioni salariali e di organico, così come quelli di delocalizzazioni produttive, fanno in genere volare i corsi dei titoli azionari delle società quotate, confermando che i mercati vedono spesso ancora le risorse umane come costo, come mero elemento del conto economico. Tuttavia questa concezione è in contraddizione con il numero crescente di imprese che invece concepiscono le persone come una componente del capitale aziendale, da proteggere, da valorizzare e su cui investire. In questo senso, ricerche recenti mostrano che, almeno per le imprese multinazionali, le attività di formazione e sviluppo diventano sempre più importanti e strategiche. Evidenza ne è il proliferare delle cosiddette corporate university, con sedi ormai dislocate ovunque nel mondo, e l'attestarsi dei budget formativi, anche nei periodi di rallentamento dell'economia, sistematicamente oltre il 2% della massa salariale aziendale.

Queste contraddizioni, che la globalizzazione esaspera, trovano riscontro anche in termini di comunicazione finanziaria. Un recente studio sul campione Fortune 100 mostra che un terzo delle aziende del campione dedica pochissima attenzione al reporting sul capitale umano, mentre le imprese migliori, come ad esempio Intel, Ups, Wells Fargo e Nokia, comunicano in modo trasparente, veritiero e completo in tema di capitale umano, correlando attraverso metriche accurate le politiche di gestione delle risorse umane al valore prodotto.

Gestire le risorse umane nel contesto globale è un processo reso complesso dalle differenze interculturali e dalle diverse modalità di funzionamento dei mercati del lavoro locali.

Per affrontare questa complessità le imprese necessitano di leader capaci di guidare e innovare, e devono assicurarsi, senza fidarsi troppo del mercato come meccanismo allocativo, di alimentare una leadership pipeline interna adeguata alle sfide che intendono affrontare. Dati recenti pubblicati su Harvard Business Review mostrano che non solo le imprese che sono "leaders machines" sono anche "profit machines", ottenendo risultati superiori alle medie di settore, ma che alcune di queste imprese sono delle leadership brand, le scuole manageriali per quel settore, nel senso che forniscono leader alle altre aziende. Di qui la necessità di concentrare gli sforzi sull'identificazione dei tratti di leadership necessari a condurre le imprese in questi contesti globali, costruendo esperienze organizzative, strumenti di valutazione, piani di successione manageriale e programmi finalizzati allo sviluppo della leadership che siano in grado di selezionare e sviluppare leader globali.

Ma in questo campo le imprese da sole non sono in grado di far tutto. Senza la collaborazione delle altre istituzioni, a livello locale, nazionale e internazionale, questioni come la sicurezza e la salute sul lavoro, la tutela delle diversità, o la produzione e riproduzione della conoscenza e delle competenze, sono difficili da affrontare. Serve una nuova stagione di alleanze con le istituzioni di ricerca e formative, e nuove relazioni con gli altri attori sul mercato del lavoro.