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La ricchezza diventa capitale

, di Stefano Caselli e Fabio L. Sattin - rispettivamente, ordinario di economia degli intermediari finanziari alla Bocconi; professore a contratto di private equity alla Bocconi e presidente di Private Equity Partners Sgr
Le aziende tra nuovi obblighi e la necessità di internazionalizzarsi

Il private equity ha costruito i propri guadagni con tre meccanismi: la crescita aziendale, la leva finanziaria e la rincorsa dei multipli. Sebbene il mercato italiano non abbia mai presentato gli eccessi di altri paesi, in cui la dinamica della leva e dei multipli ha avuto il sopravvento, la fase di recessione ha comunque fatto venir meno anche in Italia la possibilità di utilizzo di questi due strumenti di creazione di valore. Ciò induce a comportamenti di attesa da parte di fondi piuttosto che di investimenti su aziende già conosciute.

Mentre il private equity cerca una nuova fisionomia per il futuro e a livello internazionale si ragiona sull'appetibilità del sistema Italia, le relazioni fra banca e impresa pongono al centro dell'attenzione il tema del capitale di rischio e della sua urgenza: la spinta di Basilea 2 e 3 sollecita le banche a un attento controllo del capitale circolante, a un utilizzo selettivo delle garanzie, a una valutazione del rischio rivolta alla reale produzione di flussi di cassa espressi da un piano industriale vero e non solo formale. L'esigenza di capitalizzare l'azienda diviene quindi un'esigenza forte, strutturale. Il paradigma dell'azienda familiare indebitata e sostenuta con garanzie a lato è rapidamente sostituito dal modello dell'azienda capitalizzata in cui la ricchezza della famiglia proprietaria deve essere trasferita dalle garanzie all'equity.Questi aspetti sono un terreno molto interessante per il private equity, che si confronta con elementi in teoria noti ma nei fatti poco sperimentati nel mercato italiano: la dimensione piccola, la valenza familiare, le specificità della governance, il rapporto con il territorio, l'esigenza della crescita a prescindere da dinamiche di leva e di multipli. Questo ambito è una sfida e un'opportunità che può essere colta rivedendo, in parte, la tradizionale catena del valore del private equity. Il primo elemento di cambiamento è legato alla ricerca di un nuovo equilibrio fra management fee, dimensione delle operazioni, tempistica di permanenza e valori economici complessivi dei fondi. In particolare, le operazioni che coinvolgono aziende più piccole impongono un attento controllo della dinamica costi-ricavi, con scelte di maggiore vicinanza al territorio o di specializzazione per settori produttivi, per aree o per filiere. Il secondo elemento di cambiamento è riferito al tema del network e dell'interazione con le reti locali e anche con l'attore pubblico. Ciò impone un mutamento dell'azione del private equity, per cui la capacità di intervento nell'impresa non si limita a un mero evento contrattuale, circoscritto al rapporto fra finanziatore e finanziato, ma si estende a un'interazione con il sistema sociale dell'impresa, fatto di consulenti, di clienti e di fornitori, di confidi e di banche locali. Il terzo elemento di cambiamento riguarda invece le imprese: se la prospettiva di investimento dei fondi sarà sempre più ancorata alla crescita dell'azienda e della sua redditività, è inevitabile che lo sviluppo internazionale delle aziende costituirà sempre più l'elemento discriminante per la scelta di investimento dei fondi. In questi termini, l'azienda familiare già stimolata a trovare un equilibrio allargato con riferimento all'equity, dovrà trovarne uno nuovo rispetto alla prospettiva internazionale. E qui entra in gioco un tema di capacità e di "coraggio" imprenditoriale: se le nuove generazioni troveranno in questo la ragion d'essere di una nuova sfida, molte aziende manterranno con successo la loro natura familiare; viceversa se queste capacità non vi sono, l'allargamento della squadra manageriale è un percorso necessario. E su tale percorso di "managerializzazione" e di crescita, il private equity può rappresentare un valido e significativo supporto. Se prevarranno in maniera decisa le citate direzioni di cambiamento, vi sono buone possibilità che il sistema italiano delle aziende familiari e delle pmi rappresenti un target appetibile per gli investitori di private equity, domestici e non, nella prospettiva di un supporto concreto ed efficace alla crescita del tessuto industriale italiano.