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Per la lotta alla poverta' un bilancio in grigio

, di Giorgio Sacerdoti
Millennium goals. Sono stati fatti alcuni passi nella giusta direzione, ma non per merito dell'Italia, che investe pochissimo

A settembre, a New York, il Vertice Onu del Millennium Development Goals si è concluso con una parata di stelle e di capi di Stato. Ma al di là della retorica, a che punto sta la campagna lanciata nel 2000, proprio all'alba del nuovo millennio, per eradicare la estrema povertà e le sue più tragiche manifestazioni nel mondo entro il 2015? Il bilancio non è tutto nero, siamo più sul grigio, ma cinque anni sono veramente pochi per colmare almeno in parte un gap che è tuttora consistente.

Ricordiamo anzitutto gli otto ambiziosi obbiettivi del 2000, di cui il G-8 in Scozia del 2005 si fece paladino, auspice Tony Blair. Il primo era l'eliminazione dell'estrema povertà, dimezzando la parte di popolazione mondiale che vive con meno dell'equivalente di un dollaro e 25 centesimi al giorno, portandola dal 46% al 23% dell'umanità. Siamo oggi al 27%, un dato che appare incoraggiante se non fosse per l'estrema disuguaglianza di ripartizione tra paese e paese. Il calo è infatti dovuto in massima parte alla Cina (che con l'India conta il 62% della popolazione del pianeta): qui i molto poveri sono crollati dal 60% al 16%. Nel plotone di testa anche sei paesi africani tra i più poveri, ma in molti altri la miseria resta altissima. Per altri indicatori i progressi su scala globale sono buoni in termini numerici ma resta il problema di disaggregare i dati per paese e i dubbi sotto il profilo qualitativo. È così per l'obiettivo dell'istruzione elementare universale, con una percentuale di bambini a scuola passata dall'82% all'89%. La malnutrizione colpisce tuttora il 16% della popolazione mondiale (era il 20% e dovrà calare al 10%). In molti paesi questa piaga colpisce soprattutto i bambini sotto i cinque anni: dal 48% dell'India (un valore che desta scandalo in una nazione in rapido sviluppo) a percentuali sempre sopra il 40% in Pakistan, Bangladesh, Etiopia, Congo. Più soddisfacenti i progressi per la mortalità infantile, l'accesso all'acqua potabile, le cure mediche. Ma restano sfuggenti obiettivi difficilmente misurabili, ma fondamentali per le loro ricadute ad ampio raggio. Così per la promozione della donna e la lotta al suo sfruttamento: un moltiplicatore della crescita, essenziale per il benessere della famiglia e della società. A New York molti paesi, organizzazioni internazionali, imprese ed enti non profit hanno annunciato nuovi impegni per azioni mirate. In massima parte si tratta di contribuzioni economiche in partnership con organismi dei paesi beneficiari, ma è positivo che in gran parte essi si indirizzino al sostegno di programmi mirati, per settore e per paese. Così per il miglioramento agricolo, obiettivo prioritario della Banca Mondiale, per la lotta alle pestilenze dalla malaria all'aids (Francia, Giappone e Regno Unito) e per l'energia e la sostenibilità ambientale. Un grave limite è che questi impegni, di carattere volontario, spesso non sono mantenuti. Gravissimo il caso dell'Italia, in coda ai paesi Ocse (ci salva la Corea dalla maglia nera) con aiuti allo sviluppo pari ad appena lo 0,16% del pil, contro un obiettivo dello 0,7% ed una media dello 0,4%. La guardia non deve essere abbassata, la risonanza mediatica è importante. Fondamentale, in un mondo globalizzato, tener presente che non c'è solo competizione economica tra paesi sviluppati ed emergenti ma diffusa esigenza di cooperazione e solidarietà. Anzi, come ha detto Obama, "Gli aiuti allo sviluppo non sono solo un imperativo morale, ma anche un imperativo economico e strategico". Speriamo che a Roma qualcuno se ne ricordi.