La legalita' costa se lo stato e' debole
Nel luglio 2010 l'operazione "Infinito" promossa dalla Procura di Milano con quella di Reggio Calabria ha portato all'arresto di centinaia di affiliati alla 'ndrangheta in Lombardia, rivelando una capillare presenza delle cosche calabresi nella realtà economica lombarda e nell'area milanese. L'idea che le organizzazioni criminali fossero confinate al Sud e che le realtà economiche e sociali più avanzate del paese ne fossero immuni è definitivamente saltata di fronte ai risultati dell'inchiesta, restituendo a cittadini e studiosi una domanda pressante per comprendere in quali forme e con quale estensione tali fenomeni di contaminazione prendano piede. Su questi temi si è svolto in Bocconi in autunno un corso extracurriculare e nel 2011 si terrà anche negli altri atenei di Milano un ciclo di incontri promosso dall'associazione Libera assieme alle università cittadine.
Il modo più semplice per comprendere il passaggio da un mondo in bianco e nero (le cosche al Sud, il Nord che guarda all'Europa) alle molte sfumature del grigio (la presenza delle 'ndrine nei comuni della cintura milanese, il loro interesse per gli investimenti sull'Expo 2015) è quello di seguire il tortuoso itinerario di un investimento criminale, l'enorme crescita dei proventi, la necessità del riciclaggio e del reinvestimento in attività lecite, la contaminazione delle regole vigenti nei mercati legali. Secondo il capo della Dda di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, un chilo di cocaina acquistato in Colombia costa 1.500 euro, una volta tagliato e immesso sul mercato al dettaglio europeo il suo valore sale a 225.000 euro al lordo dei costi di trasporto, distribuzione e segretezza delle operazioni. Questi numeri, che sono stime ma danno conto degli ordini di grandezza, fanno cogliere come le attività criminali, e in particolare il traffico di stupefacenti, consentano moltiplicatori inimmaginabili in attività lecite. Se al netto del trasporto, distribuzione e mantenimento della sicurezza delle attività, un investimento iniziale si moltiplica di 70-80 volte, non si può tuttavia pensare che i proventi vengano reinvestiti interamente in un nuovo ciclo di acquisto, importazione e spaccio: il mercato finale degli utilizzatori non può crescere a questi ritmi e una espansione a scapito delle posizioni delle altre organizzazioni innescherebbe un confronto militare costoso e incerto. Il reinvestimento si rivolgerà quindi in parte ad attività legali. Siamo alla fase del riciclaggio, durante la quale l'organizzazione criminale si avvale di altri operatori, a volte ignari, a volte collusi: commercialisti e avvocati, società finanziarie. In questa fase la domanda di riciclaggio che viene dalle organizzazioni criminali si somma ad analoghe necessità che nascono da forme meno cruente e criminali di illecito, dall'evasione fiscale alla corruzione pubblica, che tuttavia condividono con la prima la necessità di ripulire i proventi. In un paese come l'Italia, dove le componenti di economia sommersa e l'evasione fiscale sono tanto diffuse, anche i canali e gli strumenti del riciclaggio trovano un parallelo sviluppo, come evidente dalla diffusione dei pagamenti per contanti, che vede il nostro paese al secondo posto in Europa preceduto solo dalla Grecia. Il percorso non termina però con l'emersione dei proventi e il reinvestimento in attività lecite. Un'impresa che operi in una attività legale (edilizia o commercio), ma che sia collegata alla criminalità, ha numerosi vantaggi rispetto ai concorrenti: elevata liquidità senza ricorrere ai normali canali di finanziamento; abbattimento dei costi grazie all'evasione fiscale, contributiva, delle norme sulla sicurezza ambientale e del lavoro; capacità di corruzione dei funzionari pubblici. Fino alla violenza come forma d'intimidazione dei concorrenti. Per le imprese legali il rispetto delle norme e degli oneri fiscali comporta un 'costo della legalità', qualora lo stato non contrasti efficacemente le imprese criminali. Un costo che è l'elemento più pericoloso di contaminazione della componente onesta e legale del tessuto economico e dal quale si può esser tentati di affrancarsi iniziando a praticare quella zona grigia di illegalità economica diffusa, che inizialmente può apparire veniale, quasi dettata dalla necessità di sopravvivere, ma che inaugura una china pericolosa per la tenuta del tessuto economico. Questa zona grigia, nella quale la contabilità dell'impresa diviene una copertura delle vere transazioni, in cui i rifiuti industriali sono smaltiti al di fuori delle normative ambientali, in cui si lavora in nero, espone le attività di origine lecita a ulteriori pressioni e ricatti da parte delle organizzazioni criminali. Una volta entrate nella zona grigia le imprese temono infatti i controlli fiscali e non sono in grado di ricorrere al credito presentando alla banca la reale situazione economica. L'ultima stazione della via crucis vede intervenire nuovamente le organizzazioni criminali, che con l'usura si sostituiscono ai canali di finanziamento stringendo in una morsa le imprese e con il pizzo operano un prelievo fiscale, contando sul silenzio delle imprese estorte.