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La Corte europea dei diritti dell'uomo 'bacchetta' il Regno Unito

, di Arianna Vedaschi - professore ordinario di diritto pubblico comparato
Con la sentenza sull'estradizione del presunto terrorista Abu Qatada, Strasburgo scrive un altro capitolo nell'annosa questione delle deportation

Il 17 gennaio 2012 la Corte europea dei diritti dell'uomo si è finalmente pronunciata sul noto e invero piuttosto controverso caso Othman (Abu Qatada) contro UK. La complessità della vicenda è testimoniata dal lungo e tortuoso itergiudiziario che la ha caratterizzata.

Il caso Abu Qatada è arrivato a Strasburgo dopo essere stato esaminato dalla Corte d'appello e dalla House of Lords e, ancora prima, dalla Special immigration appeals commission britannica (Siac). In sintesi, la Siac, che aveva preso in esame per prima il caso, si era espressa per autorizzare la deportation di Abu Qatada, chiesta dal governo giordano e concessa dalle competenti autorità inglesi. La decisione della Special immigration appeals commission, impugnata dall'interessato, era poi stata ribaltata dalla Court of Appeal in senso favorevole ad Abu Qatada, che chiedeva di rimanere in Gran Bretagna, dove peraltro era sottoposto a misure costrittive introdotte dalla legislazione counter-terrorism. La sentenza della Court of Appeal veniva però, successivamente, annullata dalla House of Lords. Quest'ultima sostanzialmente riprendeva il reasoning della Siac e, in considerazione del dettagliato accordo intercorso tra le autorità giordane e quelle inglesi in materia di tortura, non ravvisava alcuna ragione ostativa all'estradizione di Abu Qatada nel suo paese natale, dove lo attendeva un'annosa vicenda processuale per crimini legati al terrorismo internazionale. È a questo punto della vicenda giudiziaria che il caso viene portato all'attenzione della Corte europea dei diritti dell'uomo. Orbene, i giudici di Strasburgo si sono pronunciati lo scorso 17 gennaio, all'unanimità, in senso contrario all'estradizione di Abu Qatada in Giordania. La sentenza in parola è particolarmente significativa perché, per la prima volta, la Corte nega la deportation di un individuo fondando la decisione sull'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (Cedu), ossia ritenendo altamente probabile la violazione delle regole del giusto processo. In termini più chiari, secondo la Corte di Strasburgo vi è concreto rischio che, nel processo a carico di Abu Qatada in patria, le competenti autorità giordane ammettano prove estorte con tortura o ottenute con altre pratiche inumane e degradanti, peraltro, nel caso di specie, a danno di terzi (costretti a deporre contro Abu Qatada). Più nello specifico, la Corte, nel riferirsi all'imputato (Abu Qatada) del processo celebrato (rectius da celebrarsi) in Giordania, parla letteralmente di: «real risk of being subject to a flagrant denial of justice» (un concreto rischio di manifesta assenza di giustizia), il che contrasta con il fondamentale principio del giusto processo, solennemente sancito appunto dall'art. 6 Cedu. Di conseguenza, secondo i giudici di Strasburgo, non risulterebbe garantito il rispetto di uno dei principi cardine della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. La decisione della Corte non è ancora definitiva, poiché, come è ben noto, gli artt. 43 e 44 della Convenzione consentono a ciascuna parte (in questo caso, sarà ovviamente il Regno Unito a valutare la possibilità di ricorso) di impugnare, entro tre mesi, la pronuncia davanti alla Grand Chamber of Court. Quest'ultima Corte sarà chiamata a decidere, in via definitiva, solo se la richiesta, eventualmente presentata, riuscirà a superare il filtro dell'esame preliminare, prettamente teso alla verifica della necessità di sottoporre il caso a un nuovo esame. Diversamente, cioè se tale verifica avrà esito negativo e, dunque, il cd. filtro non avrà ravvisato i presupposti per il riesame del caso, la decisione del 17 gennaio diventerà definitiva (con decorrenza dal giorno del rigetto della richiesta di riesame). In attesa di sapere se siamo davvero alla fine di una vicenda processuale annosa e complessa, si prenda atto che nel gennaio 2012 la Corte europea ha dovuto ribadire alla Gran Bretagna, paese di lunga e consolidata tradizione democratica, che un processo condotto sulla base di prove ottenute con la tortura is not fair!