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La cooperazione allo sviluppo e il diritto internazionale

, di Claudio Dordi - professore associato presso il Dipartimento di studi giuridici
I fondi destinati ammontavano a 141 miliardi di dollari nel 2010

La cooperazione allo sviluppo comprende una miriade di attività di stati, organizzazioni internazionali, enti non governativi (anche a scopo di lucro) e individui in gran parte ignorata dai non esperti. Gli stati membri dell'ONU (articoli 55 e 56 della Carta) si sono impegnati a promuovere l'innalzamento del tenore di vita, la soluzione di problemi economici, sociali, sanitari e il rispetto universale dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, al fine di creare condizioni di stabilità e benessere affinché rapporti fra le nazioni siano pacifici. In ottemperanza all'impegno (pur generico) i paesi avanzati, sin dalla formazione dell'ONU, sono stati i principali attori della cooperazione allo sviluppo, nella forma della cooperazione tecnica, cioè attraverso la mobilitazione di risorse umane e capitali per promuovere le capacità dei paesi più bisognosi, e della cooperazione finanziaria.

Accanto e, talvolta, in cooperazione con gli Stati, l'ONU e le altre organizzazioni internazionali promuovono e coordinano programmi di cooperazione, finanziati dagli stessi Stati membri. Negli ultimi decenni, accanto agli attori istituzionali, hanno assunto un ruolo importante nella cooperazione allo sviluppo le organizzazioni non governative: si tratta, normalmente, di enti non-profit costituiti in base al diritto di uno Stato che hanno le competenze tecniche per svolgere attività' di cooperazione e che sono finanziate da fondi Statali o da donazioni. Si ricorda che con l'espressione "assistenza ufficiale allo sviluppo", meglio conosciuta con l'acronimo inglese official development assistance – ODA, si intendono i fondi, normalmente riferiti ad una percentuale del pil, destinati da ogni Stato alla promozione dello sviluppo nei paesi meno avanzati.

Il volume di fondi destinato complessivamente alla cooperazione allo sviluppo è enorme: 141 miliardi di dollari nel 2010. Nonostante ciò, il diritto internazionale non prevede norme specifiche a regolamentazione delle attività di cooperazione allo sviluppo. Accanto all'impegno di carattere generale degli Stati, infatti, solo in alcune convenzioni internazionali vi è un obbligo da parte dei paesi sviluppati a fornire assistenza tecnica ai paesi meno sviluppati. Anche uno degli obiettivi della nota dichiarazione delle Nazioni Unite per il millennio (Ris. ONU n A/55/L.2), cioè la destinazione di almeno il 0.7% del pil di ogni Stato sviluppato alla cooperazione allo sviluppo entro il 2015, verrà disatteso da gran parte degli Stati senza alcuna conseguenza di ordine giuridico in quanto la dichiarazione e' sprovvista di forza vincolante. La mancanza di un quadro normativo di riferimento ha comportato la tendenza dei paesi sviluppati ad utilizzare la cooperazione soprattutto come strumento di natura politica ed economica: ad esempio, i progetti di cooperazione sono, spesso, solo in parte disegnati per soddisfare un vero e proprio bisogno del beneficiario; in gran parte dei casi, peraltro, lo Stato donatore esige, quale condizione base per fornire la cooperazione, che i servizi siano erogati (per esempio, la costruzione di infrastrutture) da imprese nazionali del donatore stesso utilizzando, nel caso, beni originari dello stesso. Si contrappone a tale tendenza l'impegno dell'OCSE, che ha promosso, fra le numerose iniziative, la Dichiarazione di Parigi del 2005 che, pur non vincolante, rappresenta un documento fondamentale che stabilisce i principi guida per una corretta attuazione delle politiche di cooperazione allo sviluppo degli Sati, come, ad esempio, il principio della "ownership" (i progetti di cooperazione devono essere gestiti dal beneficiario). Molto rimane da fare per rendere più efficiente la cooperazione allo sviluppo degli Stati, a cominciare dal miglioramento del coordinamento delle attività' dei donatori in ogni Stato beneficiario: spesso, infatti, si assiste a una competizione fra Stati donatori per assicurarsi un rapporto privilegiato con il beneficiario che potrà avere ritorni di natura economica e politica. Ciò causa, spesso, un cattivo utilizzo di risorse che provengono dalle finanze pubbliche dei paesi donatori.