In Italia anche l'immigrato fa impresa
L'immigrazione è un tema di ricorrente centralità in Italia. Da questione di ordine pubblico guadagna visibilità sul versante economico (già più del 6% del pil nazionale è ascrivibile agli stranieri), sociale (si contano più di un milione di ragazzi di seconda generazione) e culturale.
In questo contesto, l'imprenditorialità migrante negli ultimi tre anni ha subito una viva accelerazione, specchiando meriti e miserie del più generale percorso dell'integrazione straniera. Già nel 2006 più di 230.000 imprese registrate in Italia sono etniche (circa il 6% di quelle individuali). Inoltre, si affacciano i primi tentativi di coordinamento interno tra imprenditori 'altri', come testimoniato dalla nascita a metà 2005 della testata online Impresaetnica.it. José Galvez, direttore dell'e-journal, si propone di fare rete promuovendo una cultura di impresa multiculturale.
Rispetto allo spaccato lombardo, il quadro si fa anche più dinamico. I dati più recenti (Formaper, luglio 2007) riportano la presenza di 36.477 imprese controllate da stranieri provenienti da paesi a basso reddito, pari al 4,7% delle imprese lombarde totali. Impressiona soprattutto il trend: nel quadriennio 2003-2006 questa presenza è cresciuta del 66,9%, pur segnando un rallentamento proprio nell'ultimo anno ('solo' +13%).
Prevalgono le ditte individuali e si conferma il fenomeno della specializzazione etnica, che determina, in relazione alla nazionalità di origine, una concentrazione delle attività imprenditoriali straniere in certi settori (soprattutto l'edilizia e il commercio al dettaglio, rispettivamente con 13.151 e 8.457 imprese). Di fatto, la segregazione lavorativa dei migranti che connota il mercato del lavoro dipendente si riproduce anche nell'ambito del lavoro autonomo.
Lo stesso dossier Caritas osserva come gli stranieri subentrino agli italiani in settori considerati poco attraenti, come quelli del pulimento e dei servizi di cura. Tratti peculiari dell'imprenditoria etnica sono sia la giovane età dei titolari d'impresa (in media, 38 anni contro i 48 italiani) sia la maggiore presenza femminile (il 17,7% di tutte le imprese lombarde condotte da donne).
Sbaglierebbe, tuttavia, chi guardasse a questo scenario solo con toni di entusiasmo. Primo, il tasso di natalità delle imprese straniere si accompagna, soprattutto nel 2006, a un tasso di mortalità superiore alla media lombarda (10% contro 6% circa regionale). Secondo, le imprese straniere spesso nascondono fenomeni di falsa imprenditorialità, laddove la titolarità d'impresa non è altro che un espediente per conservare il permesso di soggiorno e/o mantenere rapporti di lavoro para-subordinati con datori di lavoro italiani mossi dalla volontà di conseguire vantaggi contributivi e fiscali. Infine, la spinta imprenditoriale tradisce come il mercato del lavoro subordinato sia carente nel garantire ai migranti alternativi percorsi di empowerment. Non a caso, solo il 13% degli imprenditori stranieri intervistati, per lo spaccato biellese, da Etnica.biz desidera che i propri figli proseguano nella loro attività aziendale.
A supporto della nascente imprenditoria etnica il mondo della formazione gioca il proprio ruolo. Bocconi, per esempio, assieme a partner pubblici e del privato sociale, aderisce all'Associazione per lo Sviluppo dell'imprenditorialità immigrata di Milano (Asiim). L'esperienza è al suo primo anno, ma già emergono tratti distintivi di questa particolare utenza. Ricordiamo l'alta motivazione, l'urgenza di declinare i modelli teorici nella pratica quotidiana, ma anche la necessità di frazionare la formazione (più moduli componibili e differiti su più settimane) e di integrarla con attività di tutoraggio.