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Investimenti: abbiamo ancora carte da giocare

, di Fabrizio Onida - professore emerito presso il Dipartimento di economia della Bocconi
L'Italia si sta specializzando in alcuni importanti anelli della global supply chain

Quale contributo danno le imprese a capitale estero operanti in Italia alla crescita dell'economia e del capitale umano del paese? E che cosa le induce a scommettere ancora sull'Italia come localizzazione presente e futura dei propri investimenti?

A queste domande cerca di dare risposta la ricerca condotta dal Cespri Bocconi, in collaborazione col Politecnico di Milano, per conto della Camera di Commercio di Milano (Le multinazionali estere in Lombardia e in Italia. Opportunità, tendenze e prospettive, Egea).

Sotto il primo profilo, i dati dell'ultima indagine Istat-Fats relativi al 2004 parlano di quasi 14.000 imprese multinazionali estere (Mne), per più di due terzi operanti nel settore dei servizi, che assorbono 1,1 milioni di addetti (6,8% degli occupati dipendenti in Italia), generando l'11% del pil (quasi il 17% di quello manifatturiero), il 10,8% degli investimenti, il 26% della ricerca e sviluppo (con punte del 61% nel chimico-farmaceutico), il 23,4% dell'export e il 33,8% dell'import. Confrontate con tutte le imprese a capitale italiano, le Mne mostrano livelli nettamente più elevati di produttività, costo del lavoro, investimenti, spese di ricerca per addetto. Questi differenziali a favore delle Mne si attenuano, ma non scompaiono, quando vengono comparate a un sottoinsieme di imprese a capitale italiano estratto in modo tale da catturare quelle più simili per dimensione e settore di attività (il cosiddetto contro fattuale).

Al di là dei numeri, è dunque chiaro che le Mne danno un contributo rilevante allo sviluppo e all'occupazione di manodopera qualificata nei settori a più alto valore aggiunto del paese, inclusi i servizi professionali e tecnologici. Ciò avviene in particolare a Milano e in Lombardia, regione che pesa più del 40% sugli addetti delle affiliate estere in Italia e che nel 2000-2006 ha assorbito il 43% dei nuovi insediamenti delle Mne in Italia.

Recenti ricerche (Locomonitor, Osservatorio Siemens-Ambrosetti) trovano peraltro che, pur se l'Italia nel suo insieme perde terreno quanto a destinazione dei nuovi flussi di investimenti diretti esteri, la Lombardia non sfigura rispetto a grandi regioni come Baviera, Rhone-Alpes e Catalogna. Ciò riflette i vantaggi comparati dell'area di Milano quanto a servizi di trasporto, telecomunicazione, commercio, finanza, consulenza professionale, tecnologia.

Il radicamento di molte Mne sul territorio italiano è motivato dalla dimensione del mercato domestico, che in molti settori a domanda differenziata e/o a forte incidenza di committenza pubblica impone all'offerta produttiva (non solo commerciale) di essere in presa diretta con la domanda. Ciò vale per settoridall'alimentare al farmaceutico, dal software alle telecomunicazioni, dalla grande distribuzione all'energia elettrica.

Ma accanto a questa tradizionale motivazione, le interviste a un campione di Mne lombarde hanno evidenziato, confermando i rapporti annuali dell'Unctad e alcune ricerche sul doing business in Italy, che in Italia possono vantaggiosamente localizzarsi alcuni anelli di quella global supply chain che ogni gruppo multinazionale deve continuamente ridisegnare, per confrontarsi con l'evoluzione rapida delle tecnologie e dei mercati. E le stesse indicazioni emergono da una ricerca che Federchimica sta ultimando sulle Mne chimiche in Italia.

A nostro favore sembrano giocare la disponibilità di risorse umane e tecniche qualificate, con particolare riguardo alla capacità di problem solving; la presenza di alcuni centri di eccellenza nella ricerca, con competenze di prima qualità in nicchie tecnologiche (i nuovi materiali per l'aerospazio della Basf o i polimeri della Solvay); la reperibilità di reti di fornitori flessibili e tecnologicamente qualificati; l'esperienza impiantistica in settori come il siderurgico, il petrolchimico, la cantieristica navale, le grandi opere infrastrutturali; la posizione geografica per servire mercati dell'Europa meridionale e balcanica e del Medio Oriente.

Nonostante i guai endemici e l'atavica capacità di farsi del male, l'Italia ha dunque ancora carte da giocare per non essere emarginata dal circuito dello sviluppo economico mondiale!