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Insolvenza, funziona solo la via della prevenzione

, di Cesare Cavallini - ordinario presso il Dipartimento di studi giuridici
Verso una rivalutazione delle misure di segnalazione preventiva. A partire dai casi Alitalia e Parmalat

Le recenti vicende dell'insolvenza di grandi imprese (quali Parmalat e Alitalia) ridestano alla mente del giurista gli irrisolti problemi delle regole volte a prevenirle e delle eventuali procedure destinate a porne rimedio.

Le ultime tendenze del legislatore mostrano una marcata assegnazione al potere esecutivo della gestione di una crisi della grande impresa ormai conclamata, dove l'evidente squilibrio finanziario-patrimoniale e una sostanziale illiquidità contribuiscono a determinare un'insolvenza quasi sempre irreversibile. E proprio questa tendenza a una «degiurisdizionalizzazione» progressiva lascia alquanto perplessi, soprattutto se deriva da un intervento legislativo ad hoc e per di più considerato provvidenziale.

L'auspicio per una mera riforma della legislazione in materia, nondimeno, non appare del tutto esaustivo e neppure soddisfacente. Da quasi un decennio, infatti, già e proprio negli Stati Uniti, le insolvenze delle grandi imprese hanno segnato il fallimento di un asserito primato dell'economia sul diritto; là dove, proprio dalla riforma della nostra legge fallimentare, già lo stato di crisi (e non ancora di insolvenza) dell'impresa addirittura «non grande» consente la domanda di ammissione al concordato preventivo e all'accordo di ristrutturazione dei debiti, nei binari di una procedura che eviti la dichiarazione di fallimento guidata (la prima) ed omologata dal giudice.

Se, quindi, si vuole (e si deve) essere coerenti con un più ampio disegno riformatore di un settore cruciale del governo dell'economia, reso ancor più delicato dalle dimensioni occupazionali dell'impresa in crisi, credo che si debba perseguire la via della prevenzione. In altri termini, più grande è l'impresa, più grande si può rivelare prima la crisi e poi l'insolvenza, con pochi margini di ristrutturazione che non comportino evidenti sacrifici dei livelli occupazionali e degli stessi creditori: vale a dire dei soggetti passivi del dramma, che proprio da un eventuale fallimento esclusivamente liquidatorio riceverebbero più danni che benefici.

La via della prevenzione non esclude, anzi appare perfettamente in linea con un eventuale e successivo tentativo di risanamento dell'equilibrio economico-finanziario della grande impresa, per vero raggiungibile in presenza di un piano industriale serio in atto e da «continuare»; semmai tale via favorisce l'emersione dello stato di crisi o di pre-crisi come effetto di un obbligo di segnalazione da parte almeno del collegio sindacale della grande impresa, cui deve essere demandato anche il controllo della situazione finanziaria e di cassa, che non necessariamente segue ad irregolarità nella gestione. Tale doverosa segnalazione già consente all'impresa stessa e al consiglio di amministrazione non solo di conoscere la situazione, ma soprattutto di predisporre ex ante gli strumenti idonei a salvaguardare l'occupazione e a garantire ai creditori che non si arriverà all'amministrazione straordinaria, cioè a una procedura concorsuale.

Nonostante il monitoraggio interno non abbia dato gli esiti sperati, la procedura concorsuale cui viene demandata la disciplina di una crisi oramai tesa all'insolvenza deve tendere fortemente non solo al risanamento, spesso di arduo raggiungimento, ma almeno alla ristrutturazione della società, anche e soprattutto mediante la cessione dei rami d'azienda, che ponga al centro del programma i creditori, nel rispetto delle regole ordinarie di soddisfazione graduata dei medesimi.

Una procedura che limiti molto se non addirittura espunga l'azione revocatoria dalle sue regole, in quanto crea altri crediti «in restituzione», e che soprattutto riconsegni all'Autorità giudiziaria l'accertamento, unico e preliminare, dell'insolvenza, con tutti i dovuti effetti che ne conseguono. Primus inter pares, verrebbe da dire, il ruolo centrale che i creditori devono poter assumerenel tentativo di riportare l'equilibrio economico–finanziario di un'impresa insolvente che, come tale, secondo un antico ma validissimo canone dell'economia, è di fatto divenuta di loro proprietà.