Indipendenti nel nome del popolo
Nel dibattito politico le Autorità indipendenti sono spesso disegnate come un bizzarro corpo estraneo. Nulla di più inesatto, a ben vedere. Anzitutto la genesi storica: la Interstate commerce commission statunitense, per esempio, risale al 1887; la Reichsbank tedesca al 1876. Anche guardando in casa nostra si scopre che la Banca d'Italia opera dal 1893, la Consob dal 1974 e l'Isvap dal 1982. Le Autorità indipendenti si pongono al di fuori dal normale circuito di responsabilità che si snoda nel rapporto tra parlamento e governo. Sotto lo stesso nome, però, vanno soggetti con caratteristiche assai diverse, sia per le materie di competenza, sia per la struttura, sia per i poteri esercitati.
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Lorenzo Cuocolo |
Le Autorità indipendenti sono prive di copertura costituzionale espressa. Gli studiosi hanno cercato agganci indiretti. La verità, però, è che i costituenti non avevano alcuna intenzione di costruire un modello di amministrazione diverso da quello ministeriale di tradizione sabauda. La mancanza di copertura costituzionale ha consentito ai legislatori che si sono succeduti di approvare norme, spesso dettate dall'urgenza, diverse per ogni Autorità, restituendoci un panorama assai variegato. Negli anni passati si è provato più volte ad approvare una legge-quadro, per dare uniformità a tali soggetti: tentativi falliti, però, vuoi per l'incapacità della politica di trovare una visione comune del fenomeno, vuoi per la difesa delle stesse Autorità delle posizioni ormai acquisite. Ancora oggi, dunque, abbiamo un sistema che conta in Italia almeno una decina di Autorità, ciascuna dotata di regole proprie. Il minimo comun denominatore, allora, si dovrebbe trovare nell'aggettivo "indipendenti", in una duplice accezione: anzitutto indipendenza dalla politica, in modo da prendere decisioni stabili e neutre, che non siano rimesse in discussione a ogni cambio di maggioranza. E, poi, indipendenza dalle imprese, per evitare la "cattura del regolatore", cioè condizionamenti che possano rendere meno incisivi i provvedimenti delle authority. Spesso si ritiene che i rischi maggiori riguardino la seconda declinazione dell'indipendenza, immaginando che siano più insidiose le imprese e la loro capacità di lobbying. Guardando all'esperienza italiana, tuttavia, emerge paradossalmente come l'indipendenza delle Autorità sia stata messa in discussione per il (presunto) eccesso di vicinanza di queste con la pubblica amministrazione in senso tradizionale e, soprattutto, con le logiche della responsabilità politica. In particolare si deve segnalare la difficoltà, in alcuni settori, a tracciare una chiara linea di demarcazione tra le competenze dell'Autorità indipendente e quella del ministero di settore, con conseguenti complicazioni regolatorie e incertezze per i mercati di riferimento: la confusa gestione di Agcom e ministero dello Sviluppo economico dello switch-off al digitale terrestre è un esempio fra i molti. Ulteriori ombre hanno riguardato, in alcuni limitati casi, le nomine dei commissari: sulle scelte tecniche e super partes hanno prevalso compromessi al ribasso su profili di secondo piano e, a volte, con l'aggravante di passaggi "diretti" dalle amministrazioni ministeriali alle Authority. Da controllato a controllore, insomma. C'è da augurarsi che si tratti di casi isolati: in questo suscita fiducia il nuovo corso del governo Monti, che, nelle recenti nomine, ha saputo individuare persone dalle indubbie qualificazioni, estranee a qualunque logica di parte. Come le Autorità indipendenti devono essere.