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Il Vietnam dalla poverta' all'internazionalizzazione

, di Claudio Dordi - professore associato presso il Dipartimento di studi giuridici
Investimenti in asia. Un paese che in 15 anni si è aperto a tal punto da esportare il 70% del pil

Vi è una nazione che 15 anni fa era fra le più povere del pianeta: il Vietnam. Isolato politicamente anche dopo la fine del bipolarismo, era ancora dotato di un sistema normativo socialista, poco favorevole allo sviluppo dell'economia di mercato e poco appetibile per gli investimenti stranieri. A quasi dieci anni dall'abbandono del collettivismo che aveva condotto la popolazione sotto il livello di povertà, il paese era ancora sprovvisto di qualsiasi legislazione di base utile a promuovere le iniziative imprenditoriali e il commercio internazionale. Nel 1995, a vent'anni dalla conclusione della guerra, il paese ha riallacciato i rapporti diplomatici con l'(ormai) ex nemico e ha timidamente cominciato una serie di riforme del sistema giuridico e dell'ordinamento economico. Le riforme hanno affiancato la progressiva apertura nei confronti del commercio e degli investimenti esteri, stimolati e guidati anche dalla partecipazione ad accordi internazionali commerciali, prima regionali (l'Associazione dei paesi del sud est Asiatico – Asean), poi multilaterali. Tuttavia, ancora nel 2000, nonostante le riforme, il paese ristagnava nelle ultime posizioni mondiali in materia di qualità della vita e reddito pro capite. Così, dal 2001, il Partito che è ancora, almeno nel nome, un vero partito comunista, ha rivoluzionato il diritto economico introducendo una nuova disciplina commerciale e sugli investimenti, il codice di diritto dell'impresa e il diritto doganale, un moderno sistema di tassazione, la tutela della proprietà intellettuale, un nuovo codice civile e di procedura civile, una legislazione moderna in materia di tecnologie dell'informazione, di regole delle istituzioni finanziarie, norme moderne sulla concorrenza, protezione del consumatore, regime dei beni immobiliari, ordini professionali e nuove discipline in tutti gli altri settori rilevanti.

I risultati non sono mancati: Il Vietnam ora esporta quasi il 70% del pil e, per la prima volta, i suoi cittadini hanno un reddito pro capite superiore ai mille dollari l'anno. Nell'anno della crisi economica internazionale il pil è cresciuto di oltre il 5%. La politica commerciale estera stupisce non poco: con l'adesione all'Organizzazione mondiale del commercio, nel 2007, il paese ha definitivamente aperto il proprio mercato alle merci straniere (i dazi medi all'importazione sono circa al 9%), tanto che nel 2009 ha registrato un importante deficit commerciale (12 miliardi di dollari). Tutte le principali banche europee sono presenti (anche Unicredit e IntesaSanPaolo), e i grandi investitori dell'elettronica e della meccanica sono ormai installati nel paese, sfruttando il basso costo del lavoro e la disponibilità di manodopera. Tuttavia, è l'instancabile marcia all'apertura del mercato all'esterno che sorprende. Con l'adesione all'Afta, la zona di libero scambio dell'Asean (10 paesi e oltre mezzo miliardo di persone), e poi, sempre nell'ambito dell'Asean, con la conclusione di accordi di libero scambio con i principali paesi vicini (Cina, Giappone, Corea, India, Australia e Nuova Zelanda) il paese è divenuto parte di un mercato di oltre tre miliardi e mezzo di persone in cui le merci circolano quasi esenti da dazi. È vero, in apparenza l'abito non è di prima qualità: il Vietnam è un paese lontano, ancora guidato da un partito comunista, non è ancora dotato di adeguate infrastrutture e tecnologia e lo scarsissimo afflusso d'investimenti italiani (l'Italia è oltre la trentesima posizione quanto a provenienza degli investimenti) testimonia il tenue interesse dei nostri imprenditori. Tuttavia, chi ha investito nel paese ha riscontrato la presenza di un monaco devoto: Ariston e Piaggio insegnano.