Via il grigio polvere, benvenuto colore dei soldi
Se fino a qualche anno fa i musei evocavano antri polverosi e luci fioche, oggi essi sono diventati content provider tanto attivi quanto sexy, con dimensioni e organici degni di imprese multinazionali: già oggi infatti l'Hermitage costringe il visitatore a una sgambata di 31 chilometri: un'altra ala e si potrà disputare la prima maratona museale, che potrebbe già contare sulla partecipazione dei 4.560 dipendenti dello Smithsonian di Washington.
L'alternativa consiste nell'aprire filiali più confortevoli, capillarmente distribuite sul territorio. Così il Louvre, preoccupato dalla lenta crescita dei visitatori (solo 8.3 milioni lo scorso anno) e dalla posa della prima pietra della dependence del Pompidou a Metz, nel settembre del 2005 ha ufficializzato l'avvio del Louvre Lens (un pied-à-terre di 5.000 mq che costerà 117 milioni di euro) e nell'ottobre del 2006 ha varato il piano triennale Louvre Atlanta, grazie al quale l'High Museum verserà 10 milioni di euro l'anno per mostre, colloqui, conferenze e programmi educativi. Cifre da nulla, se confrontate con l'accordo siglato dal ministero della cultura francese e dall'Emirato di Abu-Dhabi lo scorso 6 marzo, che porterà nelle casse del ministero della cultura francese 1 miliardo di euro, con un anticipo, già versato, di 140 milioni di euro. Il Louvre non patirà la solitudine, dacché nell'emirato sorgeranno altri tre musei, tra cui il più grande Guggenheim del mondo, sempre affidato a Frank Gehry, che dopo la titanica sede di Bilbao potrà progettare un gigante da 30.000 mq., al modico costo di 700 milioni di euro. Poca cosa, per il leader indiscusso del franchising museale, che prosegue ad aprire nuove sedi: dopo la coppia (Las Vegas-Guggenheim e Guggenheim-Hermitage) firmata da Rem Koolhaas nel Venetian Resort Casino del Nevada, è arrivato il concept store di Rio de Janeiro griffato da Jean Nouvel, che ha seguito il Deutsche Guggenheim di Berlino e l'Hermitage Guggenheim Foundation di Leningrado.
Ma questi cambi di passo sono imposti da concorrenti che perseguono economie di scala (si pensi alle quattro sedi di Tate o ai multiplessi di Ludwig), esigono milioni di visitatori (lo Smithsonian ne ha accolti 24 nel 2005 e il Centre Pompidou 5,34 nel 2006, anno in cui Tate ne ha attirati 6,4, il MET 4,6, il British e la National Gallery di Londra più di quattro, l'omonima di Washington otto), progettano impianti di dimensioni industriali (la Museumsinsel di Berlino è costata un miliardo di euro, il Museumquartier di Vienna ne ha richiesti due, mentre il restyling del New Rijksmuseum richiederà 272 milioni). Del pari i nuovi musei sperimentano acquisizioni (Moma-PS1) e fusioni (il Guggenheim di Berlino è nato da un'intesa con Deutsche Bank, mentre Ubs ha finanziato una nuova ala del Moma), siglano accordi di codistribuzione (l'Hermitage si è legato anche al Kunsthistorisches di Vienna, alla Wallace di Londra e al Rijkmuseum di Amsterdam), varano travelling pluriennali e programmano su base decennale.
Questi piani di espansione possono contare su budget faraonici: il Getty Museum nel 2004 ha speso 342 milioni di dollari, meno della metà dello Smithsonian (arrivato a 805 nel 2005), ma più dei 284 gestiti dal Met nel 2006, anno in cui il Moma ha speso per la gestione ordinaria più di 108 milioni di euro, Tate 106, il Louvre 180 e il Poumpidou 110 (ammortamenti esclusi), mentre la National Gallery, il British Museum e il Victoria and Albert non sono scesi sotto i 40. D'altronde si devono retribuire migliaia di dipendenti (1026 il Pompidou, 1500 il British, 1136 il Louvre, 1157 la Tate, 1800 il Met, 965 il V&A, 834 il Moma, 750 i Guggenheim) e pagare bene i dirigenti: il chief executive dello Smithsonian, Lawrence Small si trova in busta paga 884.000 dollari l'anno, meno dei 940.000 incassati, benefit esclusi, dal collega del Getty, e lontani dalle gratifiche del direttore del Moma, che tra il 1995 e il 2003 ha ricevuto da vari trustee integrazioni sino a 3,5 milioni di dollari l'anno. Sono cifre, a loro modo coerenti: il Met (che possiede un patrimonio netto di due miliardi di euro - opere escluse) ha chiuso in dodici mesi una campagna di fundraising da 900 milioni di dollari, meno del miliardo avuto in dono da Walter Annenberg o dei 950 che l'Mfa di Houston ha ricevuto da Carolyn Wiess-Law.
La ragione, d'altronde, è stata presto trovata: secondo lo studio condotto nel 1998 da Kpmg il Guggenheim di Bilbao nei primi tre anni di vita avrebbe fatto crescere il pil dell'area dello 0,47%, creando 3.816 posti di lavoro e incrementando del 54% i flussi turistici dei paesi baschi. In modo analogo la London School of Economics nel 2004 ha affermato che l'impatto economico dei musei nazionali inglesi (sono 44) è stimabile in 1,83-2,07 miliardi di sterline e nel 2005 ha sostenuto che Tate Modern ha creato in cinque anni 2-4.000 posti di lavoro, mentre secondo l'impact analysis survey commissionata nel 2006, il Moma tra il 2005 e il 2007 avrà generato un impatto economico nella città di New York pari a 2 miliardi di dollari.