Il caso Liechtenstein
"A la guerre comme à la guerre" sembra essere stato il motto del governo tedesco nel pagare tramite i servizi segreti un dipendente infedele della banca di Vaduz per ottenere centinaia di nominativi di intestatari e beneficiari di conti. Con grande generosità il governo di Angela Merkel ha trasmesso i dati alle autorità fiscali dei paesi di residenza dei depositanti non tedeschi, con un effetto a cascata che è appena agli inizi. Non si tratta solo di ricuperare imposte su beni e redditi sottratti al fisco di residenza dei malcapitati, se così si può chiamarli. Cadono le teste di grossi manager, come quella del presidente di Deutsche Post-DHL, Klaus Zumwinkel. L'azienda ha dovuto mandare al macero migliaia di opuscoli pronti per la distribuzione in cui si inneggiava alla corporate social responsibility del gruppo e all'impegno in tal senso del suo management.
L'iniziativa del governo Merkel indica la crescente frustrazione di molti paesi che devono confrontarsi con i costi dello stato sociale, pur riformato e snellito, davanti all'evasione fiscale dei grandi contribuenti. Tanto più che allo stesso tempo gli elettori chiedono che cali la pressione fiscale sulla classe media, mentre le imprese minacciano di delocalizzare per competere sul mercato globale se il loro carico di imposte non viene almeno allineato a quello dei paesi industrializzati più competitivi al riguardo. Il capitale è invece ubiquo, e così pure sono sfuggenti le residenze di percettori di grandi redditi come attori, sportivi, rentiers. Il grosso dei lavoratori dipendenti e dei piccoli autonomi che non possono spostarsi finisce così per pagare per tutti. Un fenomeno che ha la sua responsabilità nello spostamento degli ultimi anni a favore del capitale e a danno del lavoro della quota parte di reddito nazionale: una rivincita postuma delle tesi marxiste sull'impoverimento dei lavoratori nel regime capitalistico, se non funzionano più i correttivi redistributivi dello stato sociale.
Da più di un decennio l'Ocse è impegnato su questo fronte, ma i risultati sono modesti. Prima di tutto si è definito il concetto di harmful tax competition identificato a livello internazionale da tre requisiti: un'imposizione più bassa per i non residenti che per i cittadini e le imprese locali; l'assenza di trasparenza (segreto bancario impenetrabile) e infine il rifiuto dello scambio di informazioni in materia fiscale, persinonel contesto penale.
Sulla lista nera si trovano però non solo centri offshore come Cipro, Liechtenstein, Andorra, Monaco, San Marino, Panama e Singapore. Anche la Svizzera, l'Austria e il Lussemburgo non soddisfano tutti i tre requisiti, il che ostacola all'interno dell'Ue l'armonizzazione di parametri essenziali per il funzionamento del mercato interno. Anche l'accordo di alcuni anni fa tra la Comunità e paesi come la Svizzera per ricevere in via forfettaria parte del gettito evaso da residenti comunitari è stato eluso.
La minaccia di ritorsioni non spaventa più di tanto, perché le stesse classi dirigenti dei paesi leader ad alta tassazione sono compiacenti verso il fenomeno, dato che esso viene alimentato dal loro interno. Se così non fosse, per quanto resisterebbero a una seria pressione dall'esterno staterelli offshore (ma in verità "inshore") a sovranità limitata in ogni altro senso? Ecco spiegata l'azione unilaterale tedesca, seppure al limite del lecito. L'Italia da parte sua chiede assistenza giudiziaria a Vaduz per avere conferma dei dati ricevuti: le guardie chiedono ai ladri di indicare la refurtiva! Senza sottovalutare il nuovo corso recente del nostro fisco nei confronti di contribuenti un po' troppo ubiqui, da Valentino Rossi a Dolce & Gabbana.