Il bilancio è un'arma, non un fastidioso dovere
Una sempre più crescente integrazione dei mercati e condizioni di concorrenza difficilmente immaginabili fino a pochi anni addietro. Tra chi si occupa di accounting qualcuno pensa ancora che ciò abbia poco o nulla a che spartire con il mondo dei bilanci delle imprese. E invece no.
In questo scenario di sviluppo mondiale (che è economico, ma non meno culturale) non c'è turris eburnea che possa restare in piedi indifferente a quanto le scorre tutto attorno, e ciò vale anche per i sancta santorum dell'accounting, a iniziare da quello dove per decenni è stato custodito il dogma che oggi si rivela forse il più superficiale tra i luoghi comuni "ragioneristici". Cioè, che i bilanci d'impresa, al di là dell'essere occasione mediale per eventi assembleari, altro non sarebbero che meri documenti, vale a dire fastidiosi atti amministrativi dall'aplomb burocratico, perdipiù improduttivi e financo pericolosi se s'incorre nell'ingenuità della verità. Per capirci, una bassa questione di partita doppia da lasciare a una specie tutta particolare di diafani e inoffensivi men in black.
Così, recitando l'annosa litania che l'ineliminabile compresenza di stime e congetture preclude la possibilità che i bilanci testimonino una conoscenza oggettiva della realtà (il che è pur vero, e chi scrive ha avuto la sua piccola parte nel coro) intere generazioni di vestali del giornalmastro hanno più o meno consapevolmente lasciato che prendesse piede un comune sentire adesso non facile da sradicare: che i bilanci siano "geneticamente" tali da avere ben poco a che spartire con la dimensione più propriamente manageriale dell'impresa.
Erroraccio. Quasi fosse una candida Mary Poppins, un bel giorno si presenta Ms. Globalization e con una cruda innocenza da fanciullo junghiano fa notare a tutti che il re è nudo. Altro che mero documento.
Tranquillizzatevi, nessun ennesimo polpettone moralistico che prenda spunto da Enron o Parmalat (domineddio ci scampi). Più semplicemente, soddisfazione nel vedere che non si viene più ironicamente liquidati come "accademici" se si parla dei bilanci in termini di atti di conoscenza e dunque di "atti linguistici"; dunque, se si intendono i bilanci come sfide comunicazionali basate su sistemi di scelte con cui si dimostrano l'identità e l'immagine dell'impresa, le sue performances storiche ma anche le sue potenzialità; se si vuole, il suo "essere" e non meno il suo "modo d'essere", nonché le sue "possibilità d'essere".
Non è soltanto un problema di accettazione/credibilità ambientale ricercata (anche) attraverso l'informativa periodica di bilancio. Il fatto è le imprese hanno bisogno di armi competitive e il bilancio è una di queste, forse ancora oggi tra le meno usuali, ma potenzialmente tra le più efficaci e "leggibili" in un contesto internazionale.
Conclusione. Chi si occupa di accounting non si può tirare fuori dalle problematiche e dalle dinamiche riguardanti la capacità competitiva dell'impresa, magari trovando un comodo buen retiro nel crogiuolo dei tecnicismi per iniziati. In ogni caso, deve aborrire il wait and see e più ancora deve pensionare un certo revanscismo culturale (non si può continuare a complimentarci vicendevolmente discettando del primato storico degli italiani negli studi di ragioneria), accantonando la paura per il nuovo, bensì impadronendosene e dominandolo, senza soggezione culturale e con il giusto disincanto, consapevole di come non esistano le panacee contabili.
Il che, a evidenza, pone a docenti e ricercatori un serio e forse "epocale" problema di individuazione dei contenuti della materia, da un lato ormai chiaramente sempre più sospinta verso orizzonti di interdisciplinarietà non più limitati alla sola sponda giuridica, i quali potrebbero beneficiare non poco nel ricordare come la "moderna" ragioneria nasca secoli addietro quale campo applicativo della matematica (bastano Fibonacci e Pacioli?), sicché non guasterebbe una giusta dose di "positivismo contabile", tanto per equilibrare l'effluvio di libri senza numeri che certa letteratura concorsual-nazionale ci propina ormai da un po' di tempo, non capendo che dal tempo è stata inesorabilmente catapultata fuori.