I ricchi investono male e così l'Italia non cresce
Perché da anni il nostro paese soffre di un deficit di crescita rispetto agli altri membri dell'area euro? Nel lungo periodo, la crescita è trainata dagli investimenti, più che dai consumi. Essendo realizzati dalle imprese, la dotazione di capitale di una nazione scaturisce dalla sommatoria di un processo decisionale in capo a molteplici soggetti. Le imprese rischiano fondi in nuovi progetti solo se tali opportunità sono redditizie, con la conseguenza che la crescita macro e la creazione di valore aziendale sono due aspetti inscindibili.
La creazione di valore è l'obiettivo assunto dalla finanza e incorpora una valenza sociale nel momento in cui la proprietà delle imprese è diffusa presso i risparmiatori. Inoltre, tale finalità è subordinata a un obiettivo di ordine superiore: la massimizzazione della ricchezza degli individui, in quanto il punto di partenza della finanza è costituito dall'analisi delle decisioni di consumo e di investimento delle famiglie. La ricchezza delle famiglie serve per soddisfarne i futuri bisogni e massimizzare il valore delle azioni è così funzionale allo scopo di elevare i consumi.
Un esempio può essere illuminante. Alla fine degli anni Ottanta le azioni di Ibm subirono una marcata flessione a causa di una contrazione dei profitti indotta da politiche commerciali aggressive da parte di nuovi competitor. La perdita di ricchezza finanziaria fu però compensata da un aumento di ricchezza reale in capo alle famiglie per i maggiori acquisti di pc. In pratica si verificò una sostituzione di ricchezza da finanziaria (minore valore delle azioni) a reale (maggiori consumi): in termini generali il benessere sociale rimase invariato. Gli azionisti di Ibm rimasero delusi? Non in modo particolare perché diluendo le azioni in un portafoglio diversificato essi più che compensarono le perdite con i guadagni sui new champion (prima Microsoft e poi Google). Il vero problema è come agevolare la rotazione o il ricambio dei champion.
Tre sono le possibili leve per stimolare la crescita. Innanzitutto, il contesto ambientale in senso lato deve accogliere tra le priorità la creazione di valore. Lo sforzo imprenditoriale deve essere sostenuto perché, in ultima istanza, si combatte la disoccupazione solo se le imprese consolidano la loro leadership sui mercati reali. In secondo luogo, una duratura crescita richiede una condivisione dei benefici fra gli stakeholder.
Il terzo aspetto, invece, riguarda il finanziamento dell'innovazione e della ricerca. Negli Usa essa è finanziata dallo stato e da fondazioni, ma anche da specifici soggetti: venture capitalist, fondi di private equity, business angel. Questi finanziamenti hanno una caratteristica: l'elevata dimensione. Ciò significa che l'innovazione è finanziata dai "ricchi", ovvero da coloro che a suo tempo ebbero un'idea dimostratasi vincente e, giunti all'apice del successo, cedettero la proprietà a nuovi imprenditori. La liquidità incassata con l'exit deve però essere reimmessa nel circuito economico. La crescita di una nazione e l'innovazione si perpetuano se il capitale, alla fine del suo ciclo naturale, viene riallocato in nuove iniziative a elevato rischio. Ed è sufficiente che una sola idea tra quelle finanziate abbia successo per ripianare le perdite e generare consistenti guadagni.
In Italia dove è stato riallocato il capitale degli imprenditori di prima generazione? Forse prevalentemente in settori a basso profilo di rischio (non esposti alla competizione globale). Queste opzioni, pur legittime, non sono certo di buon auspicio per le future generazioni. Ma, si può obiettare, gli imprenditori si accollano il rischio solo se il rendimento atteso giustifica l'intrapresa. E così ritorniamo al punto di partenza. La crescita è la risultante dell'azione dei soggetti coinvolti (stato, sistema finanziario e parti sociali) verso un fine condiviso: ciascuno deve adempiere al proprio compito, altrimenti si ingessa l'economia.