Contatti

Fashion e borsa, attrazione fatale

, di Barbara Rovetta - docente dell'Area amministrazione, controllo, finanza aziendale e immobiliare della Sda Bocconi
Sono almeno un centinaio le imprese che potrebbero aspirare a entrare in Piazza Affari ma non tutti pensano che sia la cosa giusta

Con il 2006 si sta assistendo a una rinascita dell'ipotesi di quotazione in borsa per numerosi gruppi del settore fashion. A marzo, il patron del gruppo Prada, Patrizio Bertelli, reduce da una campagna di dismissioni di alcuni rinomati brand (quali Jil Sander e Helmut Lang) che ha posto fine a un importante periodo della storia societaria fondato su una strategia fortemente multimarchio, ha dichiarato alla stampa di stare nuovamente valutando, con un'ottica di medio periodo, l'ipotesi della quotazione in borsa. In aprile, il re della moda, Giorgio Armani, da tempo interrogato circa le modalità con le quali la sua azienda vorrà sciogliere il nodo successione, ha affermato che la borsa rappresenta la soluzione più indicata per garantire lo sviluppo futuro del gruppo, dando segno di un radicale cambiamento di prospettiva rispetto al passato. Ciò nello stesso periodo in cui il gruppo Burani, già presente sul mercato dal 2000, ha mostrato di valutare seriamente la possibilità di procedere con la quotazione della holding Antichi Pellettieri, di cui fanno parte i brand del gruppo del settore della pelletteria.

Siamo di fronte ai segnali di un cambiamento strutturale del modo in cui le aziende del fashion guardano al mondo della finanza? I segnali in tal senso sembrano incoraggianti, anche se continuano a permanere posizioni completamente differenti sul tema. Nel mese di maggio, il ceo di Pomellato, Francesco Minoli, ha ribadito fortemente la sua convinzione che la borsa non rappresenti la via di sviluppo corretta per le aziende del lusso, sottolineando la diversità delle logiche sottostanti al mercato dei capitali rispetto ai fondamenti di operatività delle aziende del comparto. Che nel settore fashion coesistano anime diverse è cosa nota da tempo. In un settore che per tradizione ha sempre fatto fronte ai fabbisogni di crescita attraverso il canale dell'autofinanziamento, non mancano infatti esempi di società che hanno scelto la via della quotazione ancora relativamente giovani, così come casi di aziende che hanno vissuto importanti processi di crescita esterna e di diversificazione di marchio e prodotto ricorrendo unicamente alla leva dell'indebitamento (talvolta con conseguenti tensioni finanziarie).

I numeri mostrano che il mercato finanziario tende ad apprezzare le aziende del fa- shion e del lusso. Nel 2005 in Italia, il settore Luxury & fashion ha registrato un'overperformance rispetto all'indice di mercato di quasi 20 punti percentuali (dati Borsa italiana, 2005). Tuttavia, l'incidenza delle società del settore sulla capitalizzazione complessiva di borsa continua a essere piuttosto limitata (pari a circa il 7 per cento). Borsa italiana stima che, allo stato attuale, le imprese del settore potenzialmente quotabili per dimensione e caratteristiche sostanziali siano più di cento. Difficilmente però sembra ragionevole assumere che nel medio periodo converga verso Piazza Affari un numero così ampio di aziende fashion. Benché la quotazione in borsa possa contribuire in maniera importante ad agevolare l'auspicato processo di managerializzazione delle imprese del settore, essere quotati significa essere capaci di soddisfare le aspettative di crescita e rendimento dei mercati dei capitali, adottare meccanismi di governance trasparenti ed efficaci ed essere pronti a dialogare periodicamente e con sistematicità con il mercato e gli analisti. Tutti fattori che fanno della borsa una scelta da ponderare attentamente, alla luce delle prospettive di sviluppo di lungo periodo della singola azienda.