Famiglie sull'orlo di una crisi
Sull'impatto che la crisi ha avuto sulla distribuzione della ricchezza nelle società non c'è consenso unanime. Con Joe Steinberg (University of Minnesota) ho approfondito la questione analizzando la distribuzione di salari, redditi, ricchezza e consumi delle famiglie Usa dal 1967 al 2010.
Fabrizio Perri |
Il primo risultato è che durante e dopo la crisi la parte inferiore della distribuzione dei redditi da lavoro statunitensi è crollata. In particolare i redditi da lavoro delle famiglie che si trovano nel 20% più basso della distribuzione non sono mai stati così distanti dal reddito mediano come nel 2010. Una misura di questo incremento di disuguaglianza è data dal cosiddetto rapporto 50/20 che misura la proporzione fra il reddito da lavoro mediano e il reddito da lavoro più alto nel 20% inferiore della distribuzione: nel dopoguerra questo rapporto si è sempre mantenuto sotto il valore di 3, nel 2008-2010 è cresciuto quasi a 3,5. Il reddito da lavoro mediano (per membro familiare) dal 2006 al 2010 è rimasto (in termini reali) virtualmente costante sui 25.000 dollari, mentre il reddito più alto del 20% inferiore della distribuzione è crollato da 9.400 a 7.150 dollari (il 25%). Il secondo risultato è che nonostante il crollo dei redditi da lavoro nella parte bassa della distribuzione, le misure della disuguaglianza nel reddito disponibile totale (il reddito che include anche tasse e trasferimenti dal governo, come il sussidio di disoccupazione) e nelle spese di consumo non sono cambiate durante la recessione. Il rapporto 50/20 di queste rimane costante per tutto il periodo 2005-2010. Quindi, se è vero che le famiglie più povere hanno sofferto un collasso dei redditi da lavoro, non sembrano aver subito una caduta relativa nel reddito disponibile totale e nei consumi. Questo risultato suggerisce che vigorose politiche redistributive (come l'estensione del sussidio di disoccupazione a oltre 100 settimane dalla perdita del lavoro) hanno contribuito a mantenere il reddito disponibile e il potere di acquisto di queste famiglie allineato con quello del resto della società. Tutto ciò significa che in fondo la disuguaglianza non è stata un problema nella crisi?No, per tre ragioni. La prima è che il reddito disponibile del gruppo non è necessariamente informativo sulle vicende delle singole famiglie. Studiando invece i redditi di varie famiglie per vari anni, abbiamo trovato che, tipicamente, una famiglia che subisce una riduzione consistente di reddito da lavoro subisce anche una riduzione di reddito disponibile, delle spese per consumo e quindi di qualità della vita. I dati suggeriscono che le politiche redistributive del governo riducono parzialmente tali cadute ma non le annullano. Quindi il costo della crisi è stato sicuramente più grande per queste (numerose) famiglie. La seconda ragione è che i dati ci indicano che le famiglie che hanno subito una riduzione nei redditi da lavoro hanno subito anche una consistente riduzione della ricchezza, specialmente quella immobiliare. Ciò le rende ancora più vulnerabili nel caso di una nuova recessione. Terzo: nel 2011 il debito pubblico Usa ha superato il 60% (dal 40% del 2007). Ciò rende la possibilità di sostegno alle famiglie molto più limitata in futuro. In conclusione, la crisi ha prodotto la caduta dei redditi da lavoro delle famiglie più povere più grande mai osservata nel dopoguerra. L'impatto di tale caduta è stato parzialmente assorbito da politiche ridistributive. Guardando avanti, la caduta della ricchezza e la ridotta capacità di spesa del governo suggeriscono che uno dei costi della recessione sia quello di aver reso le famiglie più povere molto più vulnerabili alla prossima recessione. Un problema per gli Usa, ma forse ancora più per molti paesi europei, Italia inclusa, che nella prossima recessione ci sono già!