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Evitiamo i rischi di un'integrazione al ribasso

, di Luca Massimiliano Visconti - direttore del Mimec, il Master in marketing e comunicazione della Bocconi
Immigrazione. Le norme in vigore non rispondono né alle esigenze del paese né a quelle degli stranieri

Il quadro normativo che disciplina l'immigrazione concorre a costruire il discorso sociale attorno al ruolo, ai diritti e ai limiti riconosciuti agli stranieri soggiornanti in una nazione. Un riferimento centrale.

Per l'Italia, il quadro è composito: la legge 40 Turco-Napolitano del '98, la legge quadro 286 dello stesso anno, le modifiche della Bossi-Fini del 2002 e il suo regolamento attuativo, pubblicato con ritardo sulla Gazzetta Ufficiale il 10 febbraio 2005. Complessivamente, un corpus di norme solo in parte efficaci nel contrastare fenomeni di marginalità sociale e illegalità. Norme, soprattutto, che non rispondono appieno alle esigenze economiche del paese e al diritto di integrazione degli stranieri.

Per il legislatore, del resto, il tema immigrazione è sensibile. Si presta a facili demagogie, che alla lunga solo aggravano lo scenario, ed è trasversale: ingresso, lavoro, famiglia, abitazione, tratta di esseri umani, scuola, formazione, seconde generazioni e altro ancora. Di seguito, si accennerà ad alcune aree prioritarie.

In primis, le logiche di ingresso. L'attuale decreto flussi promuove un meccanismo di quote lontane dal reale bisogno del mercato: quest'anno sono state avanzate 700.000 richieste di ingressi per lavoro in soli 3 giorni, contro i 170.000 posti disponibili. Soprattutto, la Bossi-Fini ha abrogato l'istituto dello sponsor, che consentiva a uno straniero di entrare in Italia per ricerca di lavoro se supportato da un garante. Al suo posto si è deciso per un meccanismo di ingresso su chiamata, in teoria volto a portare in Italia stranieri già titolari di un lavoro; nella pratica, un puro meccanismo di regolarizzazione annuale per gli stranieri clandestini. Per tacere, poi, dell'inverosimile lentezza nella concessione e nel rinnovo dei permessi di soggiorno.

Altrettanto prioritario è il mercato del lavoro, dove si osservano discriminazioni in ingresso (profili scartati in fase di selezione in quanto stranieri), lavoro sommerso, differenziali retributivi (ancor più se si tratta di donne immigrate), difficoltà di riconoscimento dei titoli di studio e scarse opportunità di crescita professionale. Come strumenti di contrasto allo sfruttamento e allo spreco di nuovi talenti si identificano lo spostamento dei controlli dalle frontiere alle imprese, accordi bilaterali per il riconoscimento dei titoli di studio, bilanci di competenze, job market orientati alla diversità e persino il riconoscimento agli stranieri di recente ingresso dello status di soggetti svantaggiati, come tali ammessi a cooperative di tipo B.

E ancora: vi sono categorie di stranieri in attesa, a partire da richiedenti asilo e seconde generazioni. I primi aspettano la pubblicazione del decreto attuativo relativo al recepimento delle direttive europee in tema di procedure di asilo; i secondi vivono il paradosso di essere trattati da stranieri nel paese dove sono cresciuti e dove, spesso, sono persino nati. Tali deformità normative vanno risolte, superando un'idea di cittadinanza fondata più su una logica di ius sanguinis che non di ius soli.

Infine, al di là delle specificità associate allo stress migratorio, per aree quali casa, scuola, salute, accesso al credito molti stranieri sperimentano problemi in parte simili a quelli di tanti italiani disagiati. Ci si rifiuta di credere che la parità tra italiani e stranieri si debba realizzare nella comune esperienza di precarietà o esclusione. Non si può scommettere su una integrazione "al ribasso".