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Donne che si fanno sentire

, di Matteo Bassoli e Jasmine Lorenzini - rispettivamente, assegnista di ricerca presso il Dipartimento di analisi delle politiche e management pubblico della Bocconi e assistente di ricerca presso l'Universita' di Ginevra
Sbagliato pensare che non esista il pink power. Se è vero che la loro presenza negli organi legislativi e alle urne è bassa non è così se si scende in piazza o ci si mobilita con appelli

L'idea che il potere politico sia prerogativa maschile è molto diffusa, complici due dati incontrovertibili: la bassa presenza di donne nei partiti e negli organi legislativi (ed esecutivi) e la più bassa frequenza alle urne. La questione è in realtà più complessa perché le donne non sono tutte uguali e perché le forme di partecipazione sono più articolate. Se si prende come punto di partenza l'idea che il genere (la corrispondente sociale al sesso biologico) sia socialmente costruito e che le forme di partecipazione politica siano molteplici allora forse è possibile cercare di comprendere anche l'esistenza di un pink power. Sul primo fronte bisogna fare proprio l'approccio degli studi di genere che vede la distinzione tra il sesso della persona (attributo biologico) e il suo genere (attributo sociale). Il genere è in fondo ciò che impariamo ad attenderci da noi stessi e dalle altre persone dello stesso o dell'altro sesso: se nasciamo donne saremo educate in modo tale da diventare più pronte a sacrificare la carriera per la maternità, più pronte ad avere un ruolo riflessivo e di cura.

Sul versante politico invece la distinzione fondamentale è sulle diverse forme che prende la partecipazione politica. Oltre il voto e la militanza partitica, esistono altre forme per spendersi nella sfera politica: si può scrivere a politici, scendere in strada a manifestare, comprare o non comprare certi prodotti per motivi politici. E non tutti questi modi meno riconosciuti di partecipazione politica sono prerogativa maschile. Ad esempio le donne italiane sono politicamente molto più attive dei maschi (a parità di fattori socio-economici) per quanto riguarda la partecipazione a proteste, la sottoscrizione di appelli, il boicottaggio di alcuni prodotti, il consumo volontario di prodotti con fini politici. Questo iperattivismo femminile rappresenta forse un aspetto non marginale di pink power. In generale studiare la partecipazione politica femminile richiede oggi raffinate tecniche di analisi che rendano gli studiosi capaci da un lato di differenziare le forme di partecipazione, dall'altro di collegarli in maniera coerente alle variabili individuali gender-related: presenza di figli piccoli, incombenze domestiche, presenza di un lavoro part-time, impiego in determinati settori. Tutto un insieme di variabili che solo letto alla luce del genere possono trovare spazio in analisi che spieghino la differenza (persistente) nel comportamento tra gli uomini e le donne. Ma tali variabili sono fortemente collegate al contesto nazionale. Per questo motivo la nostra ricerca si sta occupando dei casi italiano e svizzero focalizzandosi su due realtà urbane comparabili (Torino e Ginevra). Da una prima analisi inizia a essere chiaro come da un lato gli impegni di cura diminuiscano la forma convenzionale di partecipazione femminile italiana (quella legata al sistema partitico e tendenzialmente time-consuming), dall'altro come tale correlazione sia assente nel contesto svizzero, più egualitario circa le ore trascorse a casa per gestire i figli piccoli. In questo senso appare quindi promettente riuscire a spiegare anche le differenze tra i singoli paesi partendo dalle specificità che li contraddistinguono: sia per quanto riguarda il mercato del lavoro, che per il carico degli impegni famigliari. Forse questi studi permetteranno di elaborare politiche pubbliche che sostengano una maggior uguaglianza tra uomini e donne nelle varie sfere della vita: famiglia, lavoro, politica.