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Dimmi di chi sei e ti dirò che strategia saprai attuare

, di Giuseppe Airoldi - ordianrio di economia aziendale alla Bocconi
Il controllo misto, con famiglie, banche e investitori istituzionali, così diffuso in Italia, può funzionare soltanto in ambienti protetti

Da che cosa dipendono gli assetti proprietari delle imprese? Quali circostanze fanno sì che una determinata impresa sia posseduta e controllata da un singolo imprenditore, piuttosto che da una coalizione di banche e di imprese, dallo stato, da un insieme di azionisti passivi, dai soci cooperatori, da una holding finanziaria, da un fondo di private equity?

Risposte generali a queste domande non mancano (storia, cultura, contesto normativo, mercati dei capitali, il mercato del controllo, i fallimenti del mercato, ecc.) e non mancano neppure analisi comparate sui pregi e difetti di vari tipi di assetti proprietari e delle varie forme di capitalismo.

Sorprende, però, che nel panorama delle teorie sugli assetti proprietari non emergano modelli che mettano al centro dell'attenzione il rapporto tra proprietà e strategia, ossia che riflettano sulle relazioni di funzionalità o causalità tra certi tipi di assetti proprietari e certi tipi di strategie aziendali.

In realtà, nel suo The visible hand. The managerial revolution in american business (1977), Alfred D. Chandler spiega che la grande corporation americana nasce da una sfida strategica e si realizza attraverso una nuova forma di proprietà e di management delle imprese. Negli anni '20, in Usa, si danno le condizioni tecniche per attuare le produzioni di massa, ma questa opportunità si trasforma in realtà quando l'impresa padronale a proprietà e governo concentrato diventa un'impresa a proprietà diffusa guidata da manager professionisti non proprietari. La relazione tra proprietà e strategia è forte e chiara.

Altri importanti lavori sono stati sviluppati dagli studiosi sugli aggregati interaziendali: si pensi alle reti in franchising, ai consorzi, alle alleanze strategiche di tipo contrattuale. Con essi si inventano nuove forme di ripartizione dei diritti di proprietà per rendere veloci ed efficaci le strategie di sviluppo delle imprese. Strettamente connessi sono gli studi sulle fusioni e acquisizioni, altre mosse nelle quali si intrecciano le dinamiche strategiche con quelle proprietarie.

Su un altro fronte, si muovono gli studi che confrontano le opzioni delle imprese i cui diritti di proprietà fanno capo ai conferenti di capitale di rischio, i prestatori di lavoro, i clienti, i fornitori, lo stato, "nessuno" (gli istituti nonprofit).

Ci avviamo verso una teoria generale delle relazioni tra proprietà e strategia? Possiamo ipotizzare che certe forme proprietarie siano particolarmente adatte all'attuazione di certi tipi di strategie in certi settori? Parecchi studi, e il buon senso, ci suggeriscono una risposta positiva, tuttavia alcune evidenze ci devono mettere in guardia.

La realtà sembra mostrare che non esistono chiare relazioni di funzionalità o causalità tra assetti proprietari e strategie aziendali e sembra che i vari assetti proprietari siano intercambiabili.

Nel settore automobilistico mondiale, ad esempio, si confrontano ad armi pari imprese con assetti proprietari radicalmente differenti: totalmente private, in gran parte statali, a controllo familiare, a proprietà diffusa, possedute da fondi di private equity, immerse in gruppi conglomerati. E considerazioni analoghe discendono dall'osservazione di altri settori sia a livello mondiale sia a livello regionale.

Tutte le forme di assetto proprietario sono dunque valide per qualunque tipo di strategia? La proprietà concentrata e la proprietà diffusa non fanno la differenza? E non la fanno neppure la proprietà privata rispetto alla proprietà dello stato? O i gruppi piramidali rispetto alle imprese autonome?

Sul piano logico possiamo avanzare più risposte: (a) le performance di un'impresa non sono correlabili univocamente a singole variabili, è la coerenza tra le variabili che spiega la performance; (b) ciascun modello di assetto proprietario ha pregi e difetti, ciò che conta è come lo si attua; (c) le scelte di assetto proprietario (e tutte le altre scelte di impresa) contano poco se si opera in contesti protetti, nei quali efficienza, rapidità e innovazione non sono essenziali per la vita dell'impresa.

In Italia, un assetto proprietario sembra meritare grande attenzione: è quello basato su "coalizioni miste", ossia imprese in cui il controllo è esercitato da un aggregato di soggetti giuridicamente ed economicamente disomogenei: individui, imprese e banche in varie relazioni con l'interessata, fondazioni, comuni, regioni, stato e investitori istituzionali attivi. Si tratta di una realtà diffusa e che ha ragioni non effimere, ma che presenta dei limiti. Le coalizioni disomogenee producono decisioni collettive costose: richiedono tempi lunghi e sono compromessi di basso profilo. Sono dunque modelli attuabili solo in contesti protetti.