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Contro i mantra manageriali

, di Francesco Castellaneta - dottorando della Bocconi PhD School e membro del Croma Bocconi
Riletture. Nei classici una chiave per capire l’attualità

Avanti con il prossimo mantra manageriale: con la loro invocazione ripetuta e cantilenante di concetti, sono come alcuni capi di alta moda. Da un anno all'altro devi buttarli perché non vanno più.

I mantra entrano di gran lena nelle aziende, si impongono alla maggioranza e poi cadono in disuso o, nei casi peggiori, in disgrazia; in attesa che se ne facciano avanti di nuovi, con la nuova stagione. Il 'management by mantra' fa sì, per esempio, che ci si accanisca a demonizzare le stock option e gli incentivi retributivi, piuttosto che provare a capire se, perché e quando sono stati disegnati e utilizzati male.La confusione che la rincorsa ai mantra provoca in chi è sul ponte di comando delle aziende ha spinto recentemente molti a rileggere i grandi classici i cui contributi, sebbene apparsi nel millennio scorso, sono ancora di grande utilità. Tra questi c'è sicuramente Peter Drucker. Egli è il più acerrimo oppositore della dittatura dei mantra manageriali e uno dei più accaniti sostenitori delle invarianti del buon management. Egli ritiene che la funzione obiettivo di un'impresa non sia né quella dello shareholder, né la creazione di valore per gli azionisti, né il perseguimento di alcun altro obiettivo singolo. "La ricerca di un obiettivo unico rappresenta essenzialmente la ricerca di una formula magica che elimini la necessità del giudizio" e "il tentativo di sostituire il giudizio con una formula è sempre un atto irrazionale". La bussola da seguire per portare a sintesi i molteplici obiettivi è il "bene dell'impresa", identificato con la sua sopravvivenza e prosperità nel lungo periodo. Il bene dell'impresa va ricercato domandandosi "che cose è giusto per l'impresa" e non ciò che è giusto per gli azionisti, i dipendenti, il mercato di borsa: se una decisione non è giusta per l'impresa, esse non è giusta neppure per i suoi stakeholder. Drucker, più di venti anni fa, aveva denunciato un rapporto superiore a 40:1 tra le retribuzioni del vertice e della base. Tali differenze retributive spingevano i top manager ad assumere decisioni basate su "ottimizzazioni parziali": soluzione dei problemi limitatamente a un piccola parte e nel breve periodo, a scapito di tutte le altre funzioni e della sopravvivenza e prosperità nel tempo. Alla morte di Drucker (2005) il rapporto tra le retribuzioni del vertice e della base era salito a più di 400:1. Egli riteneva che tali retribuzioni si fossero ormai distaccate dal reale valore prodotto, dalla misurazione dei risultati e dalla verifica nel lungo periodo, ritorcendosi proprio contro gli azionisti. Il contributo di Drucker più conosciuto, il management by objectives, è fondato proprio sull'idea di agganciare le retribuzioni alla performance. Drucker, da sostenitore della retribuzione di risultato, si trasformò in seguito in detrattore delle distorsioni retributive. Tale posizione non era ideologica e preconcetta, ma basata sull'osservazione dei rischi derivanti dal divorzio tra gli obiettivi immediati e quelli lontani. "Previsioni fatte cinque, dieci o quindici anni avanti sono sempre delle semplici ipotesi. Esiste però una differenza tra quella che potrebbe essere definita una «ipotesi istruita» e un presentimento, fra un'ipotesi, cioè, basata su una valutazione razionale di tutte le possibilità esistenti e un'ipotesi che altro non è se non un azzardo". Certi bonus (per esempio annuali e slegati dalla performance di lungo termine) hanno spinto alcuni managers a giocare d'azzardo sul futuro con i soldi degli azionisti. I rischi derivanti dal management by mantra si possono comprendere rileggendo i giornali dell'ultimo anno e mezzo. Per comprendere, invece, come costruire le decisioni di oggi per i risultati di domani sarebbe invece utile rileggere i libri di Drucker, per esempio The practice of management (1954) o The effective executive (1966). Buona lettura... o rilettura!