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Come far funzionare le politiche di diversity e inclusione

, di Claudio Todesco
La prima societa' per parita' di genere e' la sede svizzera dell'Ikea. Il merito? Di un'italiana, alumna Bocconi

È l'Ad della prima società al mondo a ricevere la massima certificazione sulla parità di genere da Edge, la fondazione che passa al setaccio le aziende testando parità di retribuzione, sistema di assunzioni e promozioni, formazione della leadership, flessibilità del lavoro, cultura aziendale. Del resto, è un ventennio che Simona Scarpaleggia, almuna SDA Bocconi dove a metà anni '80 ha frequentato il master Cega e oggi a capo di Ikea Svizzera, si occupa dell'argomento. Ha fondato le associazioni Valore D in Italia e Advance – Women in Swiss Business in Svizzera. Da marzo è co-chair del panel delle Nazioni Unite che fornirà raccomandazioni per l'implementazione dell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, con lo scopo di colmare il divario retributivo di genere e promuovere la leadership femminile.
Perché Ikea Svizzera ha acconsentito a farsi certificare?
Dopo avere investito per quasi 10 anni nella parità di genere, volevamo ottenere un riscontro oggettivo, avviare un percorso per mantenere i livelli raggiunti e agire dove si può ancora migliorare.
Quali politiche hanno permesso di raggiungere tale risultato?
Alla base ci sono una leadership che crede nell'inclusione e un sistema di valori aziendali radicato, che verifichiamo e incoraggiamo di continuo. Abbiamo poi una diversity & inclusion policy il cui claim è «sii te stesso»: da una parte si esprime la volontà di apprezzare i singoli per quel che sono, dall'altra li si incita a sviluppare il loro potenziale. Infine, abbiamo rivoltato il paradigma secondo cui gli orari flessibili, il lavoro in remoto e il part-time anche in ruoli di leadership sono considerati l'anticamera dell'uscita dall'azienda.
Crede nell'efficacia dell'introduzione di quote per legge?
La mia esperienza suggerisce che non sono necessarie. Vedo però che in alcuni Paesi scandinavi le quote sono state strumentali nell'attivare un meccanismo virtuoso. Non le chiamerei però quote rosa. Chiamiamole quote di genere, valide per entrambi i sessi.
Lei è stata deputy country manager di Ikea Italia. Vede differenze tra il nostro paese e la Svizzera in questo campo?
Le statistiche dicono che i due paesi purtroppo si somigliano. Cambia però l'approccio. In Svizzera, specie nella parte tedesca, è radicata un'idea di famiglia più tradizionale di quella italiana. C'è persino un termine dispregiativo che definisce la donna che lavora: rabenmütter, la mamma-corvo. In compenso, un maggiore pragmatismo consente alla società di cambiare più velocemente.
La parità genera benefici economici?
Sì. La performance aziendale migliora allargando la base lavorativa. In squadre miste s'instaurano interazioni virtuose, i processi creativi e decisionali sono più efficaci. E l'azienda diventa più attrattiva per i talenti.