Che tempo fara' dopo Parigi? Sole e nuvole
La ventunesima Conferenza ONU sul clima (CoP21) si è chiusa con L'Accordo di Parigi approvato il 12 dicembre scorso. A partire dal prossimo 22 aprile l'Accordo sarà sottoscrivibile da tutti i Paesi ed entrerà in vigore quando sarà stato sottoscritto da almeno 55 parti che rappresentino almeno il 55% delle emissioni mondiali di gas a effetto serra.
La chiusura della CoP21 è stata accompagnata da dichiarazioni altisonanti sia del suo presidente Laurent Fabius che dal segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon e molti hanno parlato di accordo storico perché i paesi del mondo si erano finalmente impegnati a cercare di limitare l'incremento della temperatura media mondiale al di sotto dei 2 °C rispetto al periodo pre-industriale. Ma è davvero così o l'accordo di Parigi rischia di essere la ripetizione del Protocollo di Kyoto approvato al termine della CoP3?
La risposta, come spesso accade, è che il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto a seconda di come lo si vuole vedere.
Per gli ambientalisti e coloro che guardano i dati con atteggiamento scientifico il bicchiere è senza dubbio mezzo vuoto. Infatti la dichiarazione che è stato preso l'impegno di contenere l'aumento della temperatura entro i due gradi è falsa. Ciascun paese ha definito autonomamente e ha presentato il proprio piano di azione per ridurre le emissioni (i cosiddetti INDC, Intended Nationally Determined Contributions), ma se si sommano i singoli contributi e li si confronta con le emissioni massime per avere una buona probabilità di rimanere entro un aumento di due gradi si vede che le emissioni totali sono nettamente superiori. Inoltre, nel caso in cui gli impegni presentati non venissero rispettati, non è prevista nessuna sanzione internazionale, ma si può uscire dall'Accordo con un preavviso di un anno.
Ma anche coloro che vogliono vedere il bicchiere mezzo pieno hanno diverse ragioni per mostrarsi ottimisti. Anzitutto per la prima volta quasi tutti i paesi, rappresentanti circa il 90% delle emissioni mondiali, hanno presentato un piano di azione per lottare contro i cambiamenti climatici. Inoltre l'Accordo prevede che ogni cinque anni i piani nazionali debbano essere aggiornati e che in tale occasione i paesi non possano presentare impegni meno rigorosi dei precedenti. Ciò significa che, se l'Accordo venisse rispettato, le emissioni future non potranno che essere inferiori alla tendenza attuale.
Un altro punto importante sul quale si è fatto qualche passo avanti è la "trasparenza". Da tempo molti Paesi insistevano sul fatto che senza un sistema attendibile di MRV (Monitoraggio, Rendicontazione e Verifica) gli impegni nazionali erano scritti sulla sabbia. Ora i Paesi firmatari saranno obbligati a comunicare regolarmente informazioni sulle loro emissioni nonché sui progressi fatti nella realizzazione dei loro INDC che saranno poi sottoposte a revisione tecnica degli esperti. L'obbligo di "trasparenza" è stato introdotto anche per la comunicazione degli aiuti che i Paesi sviluppati si sono impegnati a fornire ai PVS. Si è cercato così di dare un colpo al cerchio e una alla botte. In passato infatti i Paesi sviluppati si lamentavano della scarsa attendibilità degli impegni di riduzione delle emissioni dei PVS, ma questi ultimi si lamentavano del fatto che le promesse di aiuto dei Paesi sviluppati erano poi disattese. Resta ora da vedere se l'obbligo di "trasparenza" inciterà gli uni e gli altri a un impegno più serio.
A proposito di aiuti dai paesi ricchi verso i paesi poveri, che erano uno dei punti di contrasto più forti alla Conferenza di Parigi, va osservato che, mentre nel preambolo dell'Accordo si dice che "bisognerà fissare un nuovo sforzo collettivo che sia superiore al valore minimo di 100 miliardi di dollari annui", nell'articolato del testo c'è solo l'affermazione di principio che gli aiuti devono "rappresentare un progresso rispetto agli sforzi (promessi) precedenti".
Come si vede anche da quest'ultimo esempio, una lettura attenta del testo dell'Accordo di Parigi dà ragione sia a critici che sostenitori. Per i primi le promesse sono insufficienti e troppo vaghe. Per i secondi si sono fatti passi avanti e soprattutto il coinvolgimento nella lotta ai cambiamenti climatici è ormai un fatto generale. L'Accordo di Parigi è comunque solo l'inizio di una strada verso un impegno più marcato nella lotta ai cambiamenti climatici e sono sempre di più coloro che pensano che solo una diffusione della consapevolezza del problema e una spinta dal basso saranno in grado di cambiare davvero l'atteggiamento delle autorità politiche mondiali.