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Centralità sì, ma dell'Europa

, di Carlo Altomonte - professore di politica economica europea
Inutile che i governi nazionali si chiudano per riaffermare il proprio ruolo. Temi come gli immigrati o il clima richiedono un approccio comune

Se la vostra squadra del cuore vi esortasse a comprare l'abbonamento alla stagione promettendovi la vittoria in campionato, pur sapendo che non potrà acquistare giocatori importanti, nessuno si sorprenderebbe se palesaste con forza la vostra delusione. Tutto ciò somiglia all'attuale fase di crisi della politica, stretta tra difficoltà a mantenere i programmi elettorali e disillusione dei cittadini.

Secondo molti osservatori, ciò deriva dal logoramento nell'esercizio del potere da parte del governo centrale. Dall'alto, il governo si muove entro i vincoli dell'agenda europea, che condiziona sia la finanza pubblica, sia l'attività legislativa, per non parlare dell'indipendenza della politica monetaria. Dal basso, considerazioni di efficienza e di democrazia portano al rispetto del principio di sussidiarietà, secondo cui le istituzioni nazionali e sopranazionali devono creare le condizioni che permettono alla persona di agire liberamente: una entità di livello superiore non deve agire quando l'entità di livello inferiore (da ultimo, il cittadino) è in grado di agire per proprio conto. In aggiunta a tali tendenze strutturali a livello europeo, in Italia si ha l'aggravante di un sistema elettorale che premia l'assembramento corporativo, per cui la coalizione governativa paga un 'tributo' politico ad alcuni gruppi sociali che ne consentono la vittoria elettorale, con buona pace del programma originario.

Come recuperare, in questo contesto, il senso dell'azione politica? Di certo non attraverso il tentativo di riaffermare la centralità dello stato tout court, riappropriandosi di tutti i margini che la storia ha sottratto alla competenza del governo centrale. Il tentativo di ri-statalizzazione risulterebbe poco etico nei confronti della devoluzione dei poteri verso il basso: la sussidiarietà è, prima ancora che un principio organizzativo del potere, un principio antropologico in virtù del quale al centro dell'ordinamento giuridico vi è la persona, intesa sia come individuo che come legame relazionale, persona che va responsabilizzata e valorizzata il più possibile. Occorre dunque meno stato centrale, ma migliori meccanismi di controllo e gestione del potere declinato a livello locale.

Il recupero del ruolo del governo centrale nazionale sarebbe inefficiente rispetto alla progressiva centralizzazione a livello europeo: già dal Trattato di Maastricht la politica economica ha riconosciuto che gli stati non sono in grado di gestire singolarmente politica fiscale e politica monetaria in maniera efficiente. Meglio centralizzare le politiche della domanda per la stabilità dei prezzi, necessaria a che politiche dell'offerta, gestite dai governi, possano promuovere in maniera ottimale la crescita. Ma, quasi vent'anni dopo Maastricht, abbiamo preso consapevolezza che nell'attuale contesto globale nessuno stato è in grado di far fronte da solo alle sfide dello sviluppo. Tematiche strategiche quali l'immigrazione, l'energia, il clima, la sicurezza possono essere affrontate solo con un approccio comune.

Lo stesso vale per i richiami a un certo 'protezionismo di ritorno': se un'azienda europea recupera competitività solo grazie alla protezione del governo, essa ha già perso la sua sfida, perché non è stata in grado, con l'innovazione, di differenziare il suo prodotto verso nicchie dove la concorrenza non può raggiungerla.

Questo non vuol dire che la concorrenza globale non debba rispettare le regole del mercato, anzi: l'Ue è oggi la più grande area economica del mondo e ha un forte potere nel dettare condizioni alle imprese. Ciò non implica però un più forte ruolo dello stato centrale, ma una migliore politica di difesa degli interessi su scala europea. L'Italia ha il più alto tasso di rotazione della rappresentanza parlamentare a Bruxelles, in un organismo che decide la gran parte della legislazione per le imprese: a quando una riforma della legge elettorale europea che assicuri all'Italia una rappresentanza stabile e che tuteli gli interessi delle nostre aziende su scala globale?