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C'e' tanta voglia di Bric

, di Christian Chizzoli - lecturer presso il Dipartimento di marketing della Bocconi
Il sistema fieristico è sempre più policentrico e gli investimenti si spostano. Servono però scelte di marketing collettivo

La domanda di partecipazione a eventi fieristici internazionali, a dispetto della crisi, ha subito solo un modesto rallentamento negli ultimi anni. Questa apparente stazionarietà nasconde però importanti cambiamenti del mercato e della struttura delle manifestazioni.

Innanzitutto si registra uno spostamento significativo di parte degli investimenti degli espositori dalle fiere europee a quelle dei mercati a recente sviluppo, in particolare i Bric. Questi paesi si sono dotati di moderne strutture espositive, con la conseguenza che il sistema fieristico mondiale si struttura ora su 3-4 grandi aree continentali (Europa, Nord e Sud America, Cina e Asia Orientale, India e Medioriente). Ed è presso le nuove manifestazioni, collocate direttamente sui mercati di domanda, che molti espositori europei investono parte dei propri budget di comunicazione, segnando un cambiamento di fondo rispetto al passato. Fino a poco tempo fa essi investivano solo nelle manifestazioni europee, che erano le più importanti a livello mondiale, ma che funzionavano in modo opposto: erano focalizzate sui sistemi di offerta nazionali e richiamavano dal resto del mondo i visitatori-buyer. Il richiamo delle fiere dell'offerta europea (dell'esportazione) verso i buyer extraeuropei, in un sistema fieristico che sta diventando policentrico, si va dunque affievolendo, mentre le grandi area di domanda stanno configurando specifiche manifestazioni, adatte ai propri mercati. Di fronte a tali cambiamenti, molti competitor fieristici stanno intensificando le proprie attività sui mercati extra-europei. Ciò risponde all'interesse dei quartieri e degli organizzatori nazionali a scambiare espositori tra le diverse aree, oltre che a contrastare la caduta del mercato fieristico europeo. Ma soprattutto risponde alla richiesta di molti produttori europei di approcciare i mercati emergenti con partecipazioni guidate, scegliendo manifestazioni che meglio permettono di conoscere quelle economie. Le fiere in questi casi sono preferibili agli altri strumenti di comunicazione perché offrono opportunità di feed-back, di relazione e di valutazione delle reti commerciali. Il rischio che si profila per i produttori europei, soprattutto di piccola dimensione, è però quello di perdere l'effetto di "marketing collettivo" che in passato ha consentito alle fiere dell'offerta di promuovere con successo intere industrie nazionali. Tanto gli organizzatori quanto le singole imprese, infatti, si muovono spesso per proprio conto, moltiplicando le manifestazioni extraeuropee a cui le imprese nazionali presenziano e riducendo le partecipazioni a iniziative individuali, lontane dalle aree di produzione e fuori dal controllo delle associazioni nazionali. Così la presenza delle nostre imprese risulta spesso poco visibile e ancor meno incisiva sulle scelte degli organizzatori extraeuropei. Sembra perciò importante rivedere il concetto di partecipazione alle fiere extraeuropee e i supporti che ad esse vengono devoluti. Occorrerebbe incentivare le partecipazioni fieristiche non come spazio per collettive in cui gli espositori nazionali sono solo fisicamente vicini, ma come strumenti di "marketing collettivo", in cui la collaborazione emerge da progetti specifici. Progetti come quelli che fanno sì che nella manifestazione si affermi un certo gruppo, così come hanno fatto gli italiani partecipando alle scelte politiche delle tendenze di moda di alcune manifestazioni francesi, ai gruppi di definizione degli standard tecnologici presso manifestazioni tedesche o dandosi indirizzi comuni nella presentazione dei prodotti negli stand.