Catastrofi. Frequenti e costose
Nel comune sentire, gli eventi catastrofali sono considerati improbabili. La realtà con la quale oggi ci confrontiamo impone una drastica revisione di questa prospettiva.
La mente corre subito alla situazione critica che attualmente affligge il Giappone, colpito lo scorso 11 marzo da un terremoto di magnitudo momento pari a 9.0 (Mw) e, in rapida successione, da uno tsunami con onde alte fino a 7 metri che hanno investito oltre 300km di costa e da una crisi nucleare nell'impianto di Fukushima Daiichi, i cui incerti sviluppi sono tuttora in atto. Se la combinazione di circostanze è indubbiamente eccezionale (quasi una "tempesta perfetta"), tanto da mettere in difficoltà uno tra i paesi meglio preparati alla gestione delle catastrofi (è nota l'eccellenza giapponese quanto a piani di emergenza, strutture antisismiche e coperture assicurative), basta guardare al passato per accorgersi che questo non è che l'ultimo di una preoccupante serie di disastri che negli ultimi anni ha interessato paesi come Australia, Brasile, Cile, Cina, Haiti, Nuova Zelanda, Pakistan e Stati Uniti d'America, per citarne alcuni. Dinnanzi a questo scenario, i decisori istituzionali non possono certo restare inerti. Numerose sono le iniziative internazionali avviate per richiamare l'attenzione dei governi sull'importanza che riveste la capacità di gestire eventi catastrofali la cui probabilità di occorrenza è tutt'altro che remota e di mitigarne le conseguenze sia sul piano umanitario, sia su quello economico. Le Nazioni Unite hanno lanciato nel 2000 la International strategy for disaster reduction (Isdr), una piattaforma strategica e collaborativa per aiutare i paesi a ridurre l'impatto delle catastrofi. In parallelo, l'Ocse ha coltivato importanti studi sulla gestione finanziaria e assicurativa dei futuri costi associati a possibili nuovi disastri, siano essi derivanti da eventi naturali, o provocati dall'uomo (incidenti industriali, terrorismo), formulando raccomandazioni e buone pratiche internazionali funzionali all'innesco di meccanismi virtuosi (una corretta allocazione del rischio incentiva all'adozione di misure di prevenzione e, dunque, di riduzione dei costi attesi). Sotto un profilo strettamente economico, infatti, l'impatto di una catastrofe sulle finanze pubbliche può avere significativi effetti destabilizzanti, soprattutto per quei paesi che non possono contare su ampie riserve di liquidità. Dal punto di vista operativo, la Banca Mondiale ha assunto a sua volta interessanti iniziative in collaborazione con il settore privato, quali il programma "MultiCat" diretto a supportare i paesi aderenti nella fase di accesso al mercato dei capitali a livello globale, attraverso la prestazione di consulenza nella realizzazione di sofisticate operazioni di cartolarizzazione dei rischi catastrofali naturali finalizzate al trasferimento di una parte dei relativi costi dal bilancio pubblico agli investitori istituzionali. Con specifico riguardo ai profili economici e finanziari delle catastrofi, un'efficiente strategia di gestione a livello pubblico richiede anzitutto l'identificazione dei rischi e l'analisi dei potenziali costi associati. In questa prospettiva, va rilevato che la nozione stessa di "costo delle catastrofi" è tutt'altro che univoca, atteso che le implicazioni economiche di un disastro spaziano in linea teorica dalle spese sostenute per gli interventi di emergenza e di sostegno alle aree colpite, ai costi di riparazione e ricostruzione delle infrastrutture e dei beni pubblici e privati, al mancato gettito fiscale derivante dall'interruzione delle attività, sino alle conseguenze macroeconomiche di più ampio respiro. Pare, dunque, auspicabile l'armonizzazione, quanto meno in area Ocse, della tassonomia impiegata in questo settore, al fine di rendere più agevole la comparazione dei dati raccolti nei diversi paesi e, chissà mai, di stimolare anche in Italia un serio dibattito intorno a soluzioni finanziarie alternative alla nostrana, e ormai anacronistica, "legislazione dell'emergenza".