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Care centrali voi non avete prezzo. Non solo uno

, di Francesco Gullì - professore associato di economia applicata alla Bocconi
Due le certezze: la stabilità dei costi perché indipendenti dalle materie prime e l’assenza di emissioni di gas serra

Negli ultimi mesi il dibattito sull'opportunità di sviluppare la produzione elettrica da energia nucleare si è intensificato a seguito delle reiterate dichiarazioni di esponenti del governo a favore della realizzazione anche in Italia di nuove centrali. Tuttavia, si ha la sensazione che tale dibattito si fondi su posizioni ideologiche piuttosto che su un'attenta valutazione della tecnologia e delle ripercussioni della sua diffusione. In altri termini, sembra più che altro di assistere a un confronto fra opposte fazioni in cui i favorevoli tendono a trascurare i limiti della filiera tecnologica e i contrari ne negano anche i più evidenti vantaggi. Emblematica è a questo proposito la questione della reale competitività del nucleare, vale a dire della sua effettiva convenienza economica rispetto alle soluzioni convenzionali di produzione elettrica.

Chi sostiene che la filiera nucleare sia ampiamente competitiva basa le sue argomentazioni su due constatazioni. Primo, la maggioranza degli studi in materia stima un costo del nucleare significativamente inferiore a quello delle centrali a carbone e soprattutto degli impianti a gas naturale. Secondo, in alcuni paesi in cui la produzione nucleare è molto diffusa (leggasi, in particolare, Francia), il prezzo dell'energia elettrica è relativamente basso. La schiera dei contrari al nucleare invece tende a obiettare quanto segue. Primo, le valutazioni di competitività dovrebbero basarsi su dati reali di costo e non su stime di tipo ingegneristico. Con dati desunti dall'esperienza reale di funzionamento degli impianti, si assisterebbe, infatti, a una sensibile lievitazione dei costi. Secondo, alcune importanti categorie di spesa sono ampiamente sottostimate, in quanto allo stato attuale non suffragate da dati affidabili desumibili dall'esperienza. Ci si riferisce alle spese per lo smantellamento delle centrali e, in misura minore, agli oneri per il trattamento e il deposito delle scorie radioattive. Terzo, laddove si è avuto un forte sviluppo del nucleare in condizioni di apparente economicità, ciò si sarebbe verificato grazie all'erogazione di sussidi pubblici (nelle varie forme possibili) e cioè a spese della collettività. In altri termini, l'indiscutibile successo in alcuni paesi dei programmi di sviluppo di centrali nucleari sarebbe semplicemente drogato dal sostegno finanziario da parte dello stato. Invece, laddove tale sostegno è mancato (o dato in modo inefficiente e inefficace) il nucleare avrebbe miseramente fallito. Ben si comprende che, di fronte a queste opposte argomentazioni, è difficile orientarsi, a meno di non ammettere che ognuna di esse possa contenere una porzione di verità convincendosi che nel caso del nucleare (o meglio, soprattutto del nucleare) si debba parlare di competitività condizionata, e non assoluta, della tecnologia. Il nucleare, infatti, più che altre filiere energetiche, presenta una serie di importanti specificità che influiscono in maniera determinante sul costo di capitale (la parte nettamente preponderante del costo di produzione): la specificità del paese, attraverso la natura del processo di autorizzazione alla realizzazione degli impianti (il licensing) e l'efficienza e l'organizzazione dello stato; la specificità del sito, sia in termini geologici e orografici (per esempio, il grado di sismicità) che in termini sociali (grado di opposizione della popolazione locale); la specificità tecnologica resa importante dall'ampia varietà di soluzioni tecnologiche disponibili (dai reattori ad acqua leggera ai reattori ad acqua pesante fino agli impianti gas-grafite e ai reattori veloci di quarta generazione); la specificità dell'impianto, che fortemente incide sugli oneri di capitale, nella misura in cui è possibile ridurre significativamente i costi dimensionando opportunamente la taglia dei reattori, il loro numero per sito e programmando adeguatamente la scansione temporale della loro realizzazione; e infine, la specificità del committente, vale a dire la capacità di chi sviluppa le centrali di acquisire economie di programma grazie alla realizzazione delle forti economie di standardizzazione (stessa tecnologia, stessa taglia, stessa configurazione della centrale, ecc.), una capacità che molti riconoscono alla base del successo del nucleare francese. La molteplicità e l'importanza di queste fonti di differenziazione del costo di produzione suggeriscono che è arrivato forse il momento di superare il dibattito sulla competitività assoluta del nucleare e di parlare, come detto, di competitività condizionata o addirittura si spostare il dibattito su di un piano diverso dalla mera valutazione (e comparazione) dei costi.

Le specificità sopra menzionate non consentono infatti di esprimere un giudizio valido in ogni tempo e in ogni luogo e suggeriscono di rassegnarci ad ammettere che il nucleare possa essere competitivo in alcuni paesi e in altri no, in alcuni periodi e in altri meno. Senza togliere comunque due vantaggi di questa filiera, questi sì incontrovertibili: la stabilità dei costi rispetto alla dinamica dei prezzi internazionali delle materie prime energetiche; il vantaggio di natura ambientale legato all'assenza di emissioni di gas a effetto serra.