Caccia aperta ai fannulloni (e agli eroi). Bello, ma così non si cambia
I fannulloni della pubblica amministrazione tornano sulle pagine dei giornali e nelle dichiarazioni dei politici. Ben venga che si rifocalizzi l'attenzione sul settore pubblico anche con richiami simbolici e mettendo all'indice chi vive sulle spalle della comunità. Ben venga, anche perché i processi di cambiamento hanno bisogno di semplificazioni e di interventi su situazioni estreme, con soluzioni condivise dal senso comune.
Ma i processi di cambiamento non si realizzano solo con messaggi negativi e sanzioni, ancorché ritenute giuste dai più. La motivazione a migliorare deriva anche, e forse soprattutto, da stimoli positivi e dall'identificazione in modelli di riferimento. Quindi non solo caccia ai fannulloni, ma caccia anche agli eroi. In passato su queste pagine ho ricordato alcuni eroi del settore pubblico con la E maiuscola, uomini che hanno perso la vita nella lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata: magistrati, poliziotti ma anche medici e insegnanti.
In ogni caso, per quanto importante la ricerca di campioni (del bene o del male) non può certo diventare il fulcro delle politiche per la riforma delle amministrazioni pubbliche. Se bastasse scovare qualche fannullone per risolvere i mali delle pa, il ministro Renato Brunetta potrebbe veramente dormire sonni tranquilli. Purtroppo no! La pubblica amministrazione italiana ha radici storiche profonde e riflette, addirittura amplifica, alcune deficienze strutturali del nostro sistema economico-sociale e della sua classe dirigente. È bene che la complessità del problema sia pienamente apprezzata perché l'Italia ha bisogno sì di interventi urgenti, ma supportati da una comprensione profonda dei fenomeni e da un convinto richiamo ai principi dell'evidence-based policy. Per formulare e attuare interventi efficaci occorrono analisi razionali su quello che funziona e non funziona, partendo dalla comprensione della realtà piuttosto che da impostazioni ideologico-culturali.
La riforma della pubblica amministrazione sembra essere un elemento qualificante del programma del nuovo governo.
Le prime dichiarazioni del nuovo ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione fanno pensare a politiche volte a smagrire ed efficientare le strutture amministrative pubbliche: privatizzazioni mirate a fare cassa o dove la produzione pubblica di servizi non appare utile o necessaria, diffusione di strumenti di management nella gestione dei servizie sistemi di rendicontazione espliciti per misurare e promuovere la funzionalità delle amministrazioni.
Chi studia le pubbliche amministrazioni sente di richiamare l'attenzione su un tema: quello della gestione del cambiamento, ossia della concreta attuazione di politiche che sappiano agire nel profondo della cultura amministrativa e del modo di lavorare delle istituzioni pubbliche. Spesso, purtroppo, si è assistito in Italia a riforme mimetiche, dove si faceva finta di cambiare molto per poi alla fine lasciare tutto (o quasi) come prima.
Tornando ai fannulloni e agli eroi, è utile ricordare uno degli insegnamenti principali che ci ha lasciato il movimento della qualità totale: i sistemi complessi non si riformano pensando alle code delle distribuzioni. Le trasformazioni possono avere bisogno di avanguardie e di capri espiatori per rafforzare il linguaggio del cambiamento, ma devono essere pensate sulle persone normali che lavorano seriamente e vorrebbero lavorare meglio, in contesti facilitanti, con leader più convincenti e con una clima sociale meno sprezzante verso chi lavora per l'interesse pubblico. In questo senso è responsabilità di tutte le istituzioni favorire la ripresa di un clima positivo nei confronti delle amministrazioni pubbliche, sottolineando il loro contributo allo sviluppo economico-sociale. Immagini e luoghi comuni caratterizzati solo da nullafacenti, caste, sperperi e criminalizzazioni generalizzate possono rendere più difficile, invece che favorire, la tanto agognata riforma delle nostre amministrazioni pubbliche.