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Big Three, una storia del secolo scorso

, di Giuseppe Berta - professore associato di Storia contemporanea
Auto in Usa: indipendentemente dal loro destino a breve, Gm, Ford e Chrysler dovranno cambiare

Il destino delle case produttrici d'auto che un tempo costituivano le Big Three di Detroit (General Motors, Ford, Chrysler) tiene banco nella discussione sugli effetti che la crisi globale sta provocando nell'industria. Una discussione molto confusa e drammatizzata dallo stato dei conti dei grandi gruppi statunitensi. Sia Gm che Chrysler hanno denunciato di trovarsi in una situazione finanziariamente insostenibile senza un aiuto da parte dello stato.

Qualsiasi possa essere la loro sorte a breve, è evidente che a medio-lungo termine la condizione degli ex colossi industriali americani si è fatta indifendibile. L'accelerazione della crisi globale non ha fatto altro che accelerare un deterioramento in corso da tempo. Fin dal 2003, infatti, una giornalista come Micheline Maynard ha potuto parlare, in un libro fortunato, della "fine di Detroit", ormai imminente, a significare che le case statunitensi avevano perso la sfida con i produttori asiatici, Toyota in testa, capaci di aggredire con efficacia il mercato nordamericano.

Per questa ragione, non ci sarà nel lungo periodo alcun salvataggio di Gm, Ford e Chrysler. I tre gruppi non possono sopravvivere nel nuovo assetto internazionale del mercato dell'auto. La loro storia appartiene al Novecento, non certo al Ventunesimo secolo. Come ha segnalato l'amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne, non è pensabile che si possa perpetuare l'attuale articolazione del settore. Non c'è evidentemente più posto per la continuità di tre produttori americani distinti, gravati da una quantità di marchi che non sanno gestire.

Le case produttrici sono chiamate per forza di cose a fondersi. Soltanto cosìsi potranno sfruttare le risorse, le competenze, le capacità tecnologiche e organizzative di cui sono tuttora depositarie. Proprio per evitare la dispersione del patrimonio di esperienza industriale che hanno accumulato, è necessario pensare a un radicale rimodellamento delle ex Big Three. Così come sono, esse non possono che sciupare e distruggere risorse; riorganizzate in una nuova configurazione d'impresa potranno invece fare miglior uso dell'insieme ingente di dotazioni che ancora posseggono e così strutturarsi per la fase espansiva che si aprirà al termine della crisi. Nessun prodotto appare oggi in difficoltà come l'auto sui mercati. Ma la caduta odierna non pregiudica le possibilità di espansione che si profilano per il futuro. Oggi nel mondo circolano 700 milioni di autoveicoli; vi sono stime che indicano una cifra, apparentemente iperbolica, di 3 miliardi per la metà del secolo. Un traguardo che impone però di riprogettare radicalmente il prodotto auto. Occorre immaginare vetture sobrie ed essenziali, low cost come dice ancora Marchionne, che in un certo senso sovvertano i parametri di mercato in vigore in questi ultimi anni. Vetture che riflettano soprattutto le esigenze e i bisogni dei mercati emergenti, determinanti nel fissare nuovi paradigmi tecnologici e operativi. E poi occorre volgersi a un tipo di veicoli assai meno inquinante, esplorando le vie della mobilità sostenibile. Ecco perché è del tutto improponibile una politica di salvataggio. Ogni misura di intervento va finalizzata allo sforzo di riassetto completo del settore dell'auto, ormai avviato a un cambio del proprio paradigma di riferimento.