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Alla fin fine, si litiga sempre per i figli

, di Lara Patricio Tavares e Arnstein Aassve - rispettivamente, ricercatrice e deputy director del Centro Dondena della Bocconi
Separazioni. Gli sposi soffrono più di chi convive. Perché è più probabile che ci sia di mezzo la prole

È opinione condivisa che il divorzio comporti disagio psicologico. Quel che non è ancora stato stabilito è se la rottura di un'unione di coabitazione differisca in qualche modo dalla dissoluzione di un matrimonio. Dato il trend crescente delle coabitazioni, una focalizzazione esclusiva sul divorzio si traduce in un'immagine sempre più parziale di quello che avviene quando un'unione si dissolve.

In un loro paper Lara Tavares e Arnstein Aassve del Centro Dondena Bocconi cercano di capire fino a che punto le reazioni degli individui alla dissoluzione di un'unione varino a seconda che i partner siano o meno legalmente sposati. Gli autori affrontano il tema comparando i cambiamenti nel disagio psicologico degli sposi e dei partner in coabitazione e testano l'ipotesi che gli sposi soffrano effetti negativi maggiori. Utilizzando i dati di un'ampia indagine, la British Household Panel Survey (BHPS), gli autori rilevano che la differenza non è statisticamente significativa una volta che si prenda in considerazione la presenza di bambini. Il fatto di avere bambini si rivela una notevole fonte di aumento del disagio psicologico quando si attraversa una separazione.

Tuttavia non spiega il disagio psicologico grave, che sembra essere associato a fattori interni (tratti di nevrosi personale) anziché a fattori di contesto.Negli ultimi decenni si è assistito a un profondo cambiamento nei comportamenti demografici. Una consolidata teoria della demografia asserisce che il motore di queste modifiche è stato un cambiamento dei valori verso una maggiore enfasi sull'autonomia personale. Il matrimonio ha perso la propria egemonia tra i rapporti di partnership, mentre nuovi tipi di unione come la coabitazione, caratterizzati da un maggior grado di individualizzazione, sono diventati sempre più comuni in tutta l'Europa occidentale.Anche se si è diffusa solo a partire dagli anni 90, anche in Italia la coabitazione è in crescita. L'individualizzazione implica che l'autorealizzazione sia conseguita principalmente attraverso il raggiungimento di obiettivi personali. Anche se questo è un tratto più cospicuo nelle coabitazioni, anche i matrimoni si sono individualizzati. Nella maggior parte dei casi, essere una buona moglie o un buon marito non è più la principale ambizione di chi si sposa. Il fenomeno dell'individualizzazione è collegato alla diminuzione dei benefici che derivano dal matrimonio, specialmente per le donne, che grazie ai crescenti livelli di formazione e partecipazione al mercato del lavoro hanno guadagnato autonomia e indipendenza economica. Mentre i benefici del matrimonio diminuivano, le differenze tra diverse modalità di unione in termini di benefici procurati diventavano meno evidenti. In base a questo quadro Tavares e Aassve assumono che gli sposi abbiano comunque da perdere dalla dissoluzione di un'unione più di quanto perda chi coabita, e si attendono quindi che la realizzazione di questa perdita si traduca in un maggiore disagio psicologico per i primi. I risultati empirici mostrano che in media l'aumento del disagio psicologico degli sposi è doppio rispetto a quello di chi coabita. Comunque, dato che gli sposi hanno maggiore probabilità di avere bambini e ciò è fortemente associato all'aumento del disagio psicologico all'atto della dissoluzione dell'unione, gli autori concludono che è questo fattore a determinare la differenza tra i gruppi nel cambiamento medio di disagio psicologico. Dal momento che la separazione risulta apportare lo stesso disagio a coabitanti e sposi con bambini, gli autori aggiungono che "se il trend crescente che vede i bambini diffondersi nel contesto delle coabitazioni continuerà, l'effetto medio di breve periodo della dissoluzione delle unioni di sposi o coabitanti sarà sempre più simile".