Un 2010 gia' visto. Nel 1931
Dopo la crisi greca, le analogie tra il post-1929 e il post-2008 si fanno ancora più evidenti, secondo quanto scrivono Roberto Artoni e Carlo Devillanova in Dal 1931 al 2010 (shortnote Econpubblica, n. 4/maggio 2010).
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Artoni e Devillanova |
I due studiosi, che già avevano argomentato le analogie finanziarie, reali e culturali delle due crisi in una precedente shortnote (Dal 1929 al 2008, shortnote Econpubblica, n. 5/novembre 2008), sottolineano che anche nel 1931, dopo che le autorità pensavano di avere superato il punto di svolta, si assistette a un anno drammatico, contraddistinto da forti turbolenze finanziarie (fallì il Credit-Anstalt austriaco) e dall'abbandono del gold standard da parte dell'Inghilterra. Ne conseguirono, negli Stati Uniti, "un forte deflusso di oro in un regime di convertibilità, aumento dei tassi di interesse all'interno ed estensione dei fallimenti bancari".
Il presidente Hoover, a difesa del dollaro, reagì con un inasprimento fiscale pari a 1/3 del gettito corrente. "Nel 1932", scrivono Artoni e Devillanova, "fu evitato il collasso finanziario, anche se la recessione economica continuò senza segni di miglioramento (annullando, anzi, i sintomi di ripresa che si erano via via manifestati)".
Quando la crisi finanziaria si manifestò nuovamente, nel 1933, alla Casa Bianca c'era ormai Roosevelt, che optò per interventi del tutto diversi: "revocò la convertibilità del dollaro in oro per i residenti; sospese l'esportazione dell'oro; chiuse temporaneamente le banche (...); autorizzò la Federal Reserve ad effettuarle prestiti without limitations on the character of the security accepted", restituendo flessibilità alla politica economica e creando le condizioni per l'avvio del New Deal.
La crisi che stiamo attraversando, sintetizzano i due studiosi, è caratterizzata da una rilevante caduta della produzione industriale mondiale rispetto all'aprile 2008 (-13% al suo punto di minimo, ancora -6% a febbraio 2010), indebitamento pubblico peggiorato di almeno 5 punti in tutti i paesi e consistenza relativa del debito pubblico aumentata, in media, di oltre 30 punti di Pil. Lo stesso Fondo monetario internazionale attribuisce solo un decimo dell'aumento del debito agli stimoli fiscali introdotti dai governi. In questo scenario, provvedimenti restrittivi di politica fiscale potrebbero risultare non solo inutili, ma anche dannosi, come furono quelli del presidente Hoover.
"Se l'esperienza degli Stati Uniti insegna qualcosa", scrivono ancora Artoni e Devillanova, "appare piuttosto che un'efficace azione di contrasto delle pressioni speculative richiede importanti interventi istituzionali". Allora l'abbandono del gold standard, oggi, suggeriscono i due studiosi, il trasferimento di parte del debito dei singoli paesi a un governo centrale europeo, sul modello di quanto fatto negli Stati Uniti nel 1790, potrebbe essere la via da perseguire.
Artoni e Devillanova, infine, avanzano anche dubbi sull'opportunità di procedere ad una riduzione generalizzata, e non mirata, della spesa sociale (una leva in più per i governi, che negli anni '30 potevano invece intervenire solo sulle imposte). Presumibilmente, non produrrà i risultati attesi sui fenomeni speculativi che caratterizzano gli andamenti dei mercati finanziari. Si potrebbe, al contrario, verificare "un forte arretramento in termini di coesione sociale o di qualità della vita civile, data la polarizzazione della distribuzione dei redditi e l'inadeguatezza dei mercati assicurativi privati di coprire larga parte dei rischi sociali".