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Le aziende che riuscirono a essere globalizzate in un’era anti-globalizzazione

, di Andrea Costa
Due storiche imprese dell’Europa centrale trasformarono il nazionalismo economico in un trampolino di lancio verso il successo internazionale

Nel mondo odierno, il termine “globalizzazione” ha spesso una connotazione di fragilità. Le catene di approvvigionamento vacillano sotto la tensione geopolitica; le industrie si ritirano dietro i confini nazionali. Eppure, un secolo fa, quando l’Europa era ancora sconvolta dalla guerra e i dazi protezionistici erano la norma, e quando ideologie populiste si rivoltavano contro la globalizzazione, due aziende dell’Europa centrale sfidarono la gravità economica.

Un nuovo studio nell’ambito del progetto SpoilsofWAR finanziato dallo European Research Council, guidato da Tamás Vonyó (Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche, Università Bocconi; Centro Dondena) e firmato con Mária Hidvégi (Centro Dondena, Università Bocconi) e Milan Balaban (Università Tomas Bata, Repubblica Ceca) rivisita questo paradosso. Il loro articolo, “Survival through globalisation: Innovation, internationalisation, and the endurance of big business in Central Europe”, pubblicato nell’ottobre 2025 su Business History, esplora come la cecoslovacca Bata e e l’ungherese Tungsram abbiano sfruttato il protezionismo, invece di soccombervi, per diventare operatori internazionali di lunga durata.

Il nazionalismo economico e la frammentazione del mercato internazionale... non hanno ostacolato l’espansione globale delle imprese se queste condizioni strutturali sono state prese in considerazione nelle loro strategie commerciali”, scrivono gli autori. È una lezione che trova sorprendenti echi nella realtà moderna.

Fabbriche della modernità

Gli anni tra le due guerre mondiali furono un’epoca di intensa reinvenzione industriale. Sia Bata che Tungsram emersero da regioni relativamente arretrate, dove l’industrializzazione era in ritardo, l’integrazione con l’economia globale era limitata e gli Stati nazionali moderni erano nati solo dopo il 1918 sulle rovine dell’Impero asburgico. Eppure entrambe le aziende divennero pioniere della modernità organizzativa e tecnologica.

Bata, l’impero calzaturiero fondato da Tomáš Baťa a Zlín, costruì quelle che gli storici hanno definito “utopie industriali”: città-fabbrica con alloggi per i lavoratori, scuole e strutture comunitarie, tutte progettate all’insegna dell’efficienza e della lealtà. Il “sistema Bata” creò siti di produzione integrati verticalmente in tutto il mondo che operavano come fabbriche “quasi nazionali” autosufficienti, supportate da reti di vendita nazionali. 

Tungsram, al contrario, illuminò l’Europa, in senso letterale. Il produttore di lampadine con sede a Budapest investì massicciamente in ricerca e sviluppo, stringendo partnership tecniche con giganti come Western Electric e Philips. I suoi laboratori trasformarono l’Ungheria in un centro di innovazione elettrica, mentre la sua adesione a cartelli internazionali aprì le porte ai mercati globali degli apparecchi elettrotecnici. 

Vonyó e i suoi coautori sostengono che entrambe le aziende hanno avuto successo non sfuggendo ai vincoli del crescente nazionalismo economico, ma operando al loro interno. I dazi protezionistici e i controlli sulle esportazioni diventarono incentivi per innovare a livello locale, perfezionare i metodi di produzione e creare capacità di innovazione autonome.

La globalizzazione come strategia di sopravvivenza

Quando la Seconda guerra mondiale e la “cortina di ferro” divisero il mondo, la maggior parte delle aziende di dimensioni simili nell’Europa centrale scomparvero dai mercati mondiali. Il successo di Bata e Tungsram continuò, anche se attraverso percorsi molto diversi.

La rete familiare di Bata riorganizzò l’azienda all’estero, replicando la sua filosofia produttiva dalla Gran Bretagna al Canada e all’India. Il suo modello di “città-fabbrica”, perfezionato in Cecoslovacchia, divenne un modello per il franchising globale molto prima che il termine esistesse. All’inizio degli anni ‘80, “la Bata Shoe Organisation era diventata il più grande produttore mondiale di scarpe... producendo 250 milioni di paia in cento fabbriche con quasi 90.000 lavoratori.”

Tungsram divenne un’impresa statale nell’Ungheria comunista, ma rimase formalmente una società per azioni e sfidò le difficoltà dell’isolamento della Guerra Fredda per ricostruire la sua presenza sul mercato globale. La sua competenza nella tecnologia elettrotecnica e dell’illuminazione la rese una delle aziende ungheresi più orientate all’esportazione negli anni ‘70, utilizzando strategie differenziate per espandersi nei mercati socialisti, occidentali e del terzo mondo.

Per entrambe le aziende, sostiene l’articolo, la resilienza era una questione di visione manageriale più che di struttura proprietaria. “Di fronte alla reazione negativa alla globalizzazione, i manager ispiratori e lungimiranti... sono stati un fattore più importante dell’internazionalizzazione rispetto alla proprietà.”

Questa intuizione sfida un presupposto persistente negli studi di economia internazionale: che le aziende familiari, le imprese statali e le multinazionali rappresentino modelli di globalizzazione distinti e spesso incompatibili. Vonyó e i suoi colleghi concludono che le capacità innovative e la creatività imprenditoriale, piuttosto che la forma organizzativa, sono state l’ingrediente decisivo del successo globale.

Le origini locali del pensiero globale

Ciò che rende questa storia degna di nota non è solo il fatto che riscrive un capitolo della storia industriale dell’Europa centrale, ma anche che ridefinisce la nostra comprensione della globalizzazione stessa.

Bata e Tungsram erano globali prima della globalizzazione, proprio perché erano profondamente radicate nelle realtà locali. La loro espansione internazionale non era finalizzata a sfuggire alle normative o a cercare manodopera a basso costo, ma a esportare sistemi di produzione e innovazione.

Quando le barriere commerciali si fecero più rigide, Bata costruì fabbriche di scarpe all’estero per integrare le esportazioni di prodotti finiti, anticipando le moderne strategie multinazionali. Tungsram, che operava con licenze internazionali e accordi di cartello, utilizzò lo scambio di tecnologia come strumento per rimanere competitiva. Durante la Guerra Fredda, esportò queste capacità tecnologiche nel terzo mondo per entrare nei mercati emergenti. 

In breve, entrambe le aziende trasformarono il nazionalismo economico in un motore di sviluppo.

Echi nel XXI secolo

La rilevanza di questi risultati va ben oltre la storia dell’Europa centrale. Oggi le aziende si trovano di fronte a un bivio simile: riportare la produzione in patria, diversificare le catene di approvvigionamento e adattarsi ai crescenti rischi geopolitici.

In quest’ottica, la ricerca di Tamás Vonyó e dei suoi colleghi si legge quasi come un manuale per una globalizzazione resiliente. Le aziende che integrano l’innovazione tecnologica con un impegno strategico a livello locale, quelle che vedono gli ambiti nazionali non come gabbie ma come catalizzatori, potrebbero trovarsi meglio attrezzate per affrontare i periodi di turbolenza.

Il successo duraturo di Bata e Tungsram lascia intendere che la globalizzazione non è un processo lineare di liberalizzazione, ma un ciclo di adattamento. Paradossalmente, anzi, il nazionalismo economico può talvolta gettare le basi per una presenza globale più sostenibile.

La storia come guida per il futuro

Ripercorrendo un secolo di trasformazioni attraverso due aziende, lo studio offre più di un semplice caso di studio storico: fornisce uno specchio per il presente. Mentre le industrie sono nuovamente alle prese con la frammentazione e le difficoltà politiche, la lezione di Bata e Tungsram appare attuale e senza tempo: l’innovazione prospera non nonostante gli ostacoli, ma spesso proprio grazie ad essi.

 

Balaban, M., Hidvégi, M. e Vonyó, T. (2025), “Survival through globalisation: Innovation, internationalisation, and the endurance of big business in Central Europe”, Business History, 1-26. DOI https://doi.org/10.1080/00076791.2025.2566483

TAMAS VONYO

Bocconi University
Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche
Professore Associato