Quando la carriera si decide a colpi di aggettivi
Nel mondo dell’accademia, dove il merito dovrebbe contare più di tutto, a volte bastano poche parole per cambiare un destino. Quelle scritte in una lettera di referenza—outstanding, brilliant, hardworking, reliable—possono influenzare un concorso o una chiamata molto più di quanto si creda. E se quelle parole, sistematicamente, variano a seconda del genere del candidato, la meritocrazia rischia di diventare un’illusione.
Lo studio Women in economics: The role of gendered references at entry in the profession firmato da Alessandra Casarico (Università Bocconi), Audinga Baltrunaitė e Lucia Rizzica (Banca d’Italia), pubblicato sull’European Economic Review, ha provato a misurare questa asimmetria. Le ricercatrici hanno raccolto 25 mila lettere di referenza scritte nell’arco di dieci anni per oltre 8 mila candidati e candidate a posizioni accademiche o di ricerca in economia e finanza, e le hanno analizzate con tecniche di Natural Language Processing, l’intelligenza artificiale applicata al linguaggio.
L’obiettivo: individuare schemi linguistici ricorrenti e verificare se il modo in cui i docenti descrivono i propri studenti varia in funzione del genere. Il risultato è inequivocabile: gli uomini sono descritti più spesso come “standout” — brillanti, geniali, fuori dal comune — mentre le donne come “grindstone”, cioè diligenti, affidabili, instancabili.
“Le economiste vengono presentate come tenaci e precise, i colleghi come brillanti e dotati di talento naturale”, spiega Alessandra Casarico, direttrice del Social Inclusion lab della Bocconi. “Non è una questione di stile: il linguaggio delle lettere trasmette segnali che possono decidere in modo significativo sulle opportunità professionali».
Il bias, sottolineano le autrici, si concentra tra gli uomini senior, che tendono a usare un linguaggio più stereotipato, mentre le colleghe mostrano una scrittura più neutra. Ma le lettere scritte da donne restano una minoranza: appena il 15% del totale.
E le parole non restano sulla carta. I dati mostrano che chi è descritto come "più standout" ha una probabilità maggiore di ottenere un posto in un’università di fascia alta. Al contrario, essere etichettati come grindstone riduce la probabilità di successo.
Effetti che non si esauriscono nel primo impiego: chi è stato raccontato come brillante tende a pubblicare di più e ad avanzare più rapidamente di carriera.
“Le parole contano, e lasciano tracce”, sottolinea Casarico. “Abbiamo verificato che la brillantezza riconosciuta apre porte, mentre la reputazione di essere solo affidabili penalizza, soprattutto le donne”.
Le differenze resistono anche dopo aver controllato per qualità scientifica, università di provenienza e pubblicazioni. Per le ricercatrici, la spiegazione più coerente è la presenza di bias impliciti, stereotipi inconsapevoli che influenzano il giudizio:
“La discriminazione esplicita è meno accettabile oggi, ma restano automatismi che associano la genialità al maschile e la diligenza al femminile”.
Il lavoro propone anche soluzioni: moduli standard per le referenze, griglie di valutazione oggettive e maggiore consapevolezza dei meccanismi linguistici che alimentano le disuguaglianze.
“Non si tratta di censurare il linguaggio”, conclude Casarico, “ma di ricordare che ogni aggettivo può rafforzare o indebolire una carriera. E che l’eccellenza non ha genere”.
Nell’accademia come nel resto del mondo del lavoro, questa ricerca ricorda che le parole non descrivono solo la realtà: la costruiscono.