Contatti

Terre coltivabili: inediti protagonisti per un nuovo colonialismo

, di di Andrea Celauro - Foto di Paolo Tonato
Franca Roiatti, giornalista di Panorama e autrice di un libro Egea sull’argomento, discute con Eliana La Ferrara, ordinario di economia politica alla Bocconi, dello sfruttamento attuato da alcune potenze emergenti sul resto del mondo

La terra africana è il nuovo business per fondi d'investimento e multinazionali e la garanzia del futuro alimentare di paesi come Cina e India, scrive Franca Roiatti, giornalista di Panorama, in Il nuovo colonialismo. Caccia alle terre coltivabili (Università Bocconi editore, 2009, pagg. 191, 15 euro). Ne abbiamo discusso con l'autrice ed Eliana La Ferrara, ordinario di economia politica alla Bocconi ed esperta di economie in via di sviluppo. La terra, infatti, non è che l'ultimo affaire di una corsa alle risorse che sta ridisegnando l'equilibrio mondiale e che spinge a interrogarsi sul ruolo delle organizzazioni internazionali e delle politiche di sussidio.

In cosa consiste questa nuova forma di colonialismo?

Eliana La Ferrara (a sx) e Franca Roiatti

FRANCA ROIATTI È un fenomeno scattato quando, dal 2006, si è verificato un rialzo nei prezzi delle materie prime agricole senza precedenti nella storia recente. Di fronte a un costo del cibo che inficiava la stabilità interna, molti paesi produttori di grano e riso hanno limitato le esportazioni. Ciò ha spaventato gli importatori, come Cina, India e gli stati del Golfo. Ai paesi con scarsità di risorse agricole, ma abbondanza di mezzi finanziari, la soluzione è sembrata quella di comprare terreni all'estero, dove coltivare cibo da riesportare entro i propri confini. Parallelamente, la crisi dei subprime ha spinto numerosi fondi d'investimento a trovare soluzioni più redditizie rispetto a un mercato finanziario ai suoi minimi. Per dirla con Jim Rogers, guru delle materie prime, l'agricoltura stava per diventare "l'affare della vita": entro il 2050 il mondo sarà abitato da 9 miliardi di persone, quindi sarà necessario coltivare più cereali: un affare per chi controlla il mercato alla fonte, cioè la terra. Le risorse naturali si confermano quindi obiettivo primario di chi investe nei paesi in via di sviluppo. ELIANA LA FERRARA Gli investimenti diretti esteri vanno là dove ci sono risorse. Nel tempo, si sono però sviluppati non solo per sfruttare le materie prime ma anche per trovare nuovi mercati. Ciò che è interessante è che gli investimenti diretti esteri di ricerca delle materie prime erano prevalenti in anni in cui i paesi coinvolti mancavano completamente di capitali per effettuare le estrazioni di risorse minerarie in proprio o non avevano un apparato legale e istituzionale sufficientemente sviluppato. Con la crescita di questi paesi, questa forma d'investimento diretto è diminuita e sono cresciute quelle orientate alla ricerca di nuovi mercati e all'efficienza allocativa. Nel caso della terra siamo ancora al primo stadio: i paesi interessati all'approvvigionamento di derrate alimentari non hanno garanzia che delegando la produzione di cibo ai paesi che possiedono la terra questi poi possano esportarlo in modo da garantire stabilità anche a fronte di rialzi dei prezzi. Ciò che emerge però è che i paesi oggetto d'investimenti sono poi obbligati, più o meno consapevolmente, ad esportare il cibo quasi in toto. ROIATTI Questo è uno degli elementi più controversi di questa caccia alla terra, perché molti dei contratti stipulati nell'ultimo anno e mezzo sono segreti. L'Arabia Saudita, attivissima in questa corsa alla terra, ha costituito un'agenzia per individuare dove investire: uno dei criteri per la selezione è che i paesi prescelti permettano di riesportare nel regno saudita una "ragionevole" percentuale di raccolto. Ma chi decide quando questa sia ragionevole? La questione dovrebbe essere definita nei contratti. Tuttavia è chiaro che quando da un lato abbiamo paesi o società con grandi capitali a disposizione e dall'altro stati che possiedono terra, ma hanno una forte necessità di risorse, lo squilibrio può tradursi in accordi sfavorevoli per i governi più deboli. Lato oscuro dei contratti che emerge a volte solo grazie all'opera di ong attive sul territorio, più che di grandi istituzioni internazionali. Perché?

Eliana La Ferrara

LA FERRARA Non è semplice, in questo caso, valutare il ruolo delle ong. Vi sono organizzazioni il cui obiettivo è tanto vicino a quello dei paesi industrializzati quanto a quello dei paesi poveri. Se parliamo di autosufficienza alimentare, il dibattito sugli aiuti sotto forma di esportazioni di cibo sottende molti interessi commerciali da parte dei paesi donatori. Gli Usa esportano molto del sovrappiù della produzione come aiuti e le più grandi ong americane sono abbastanza allineate con la politica degli Stati Uniti. Ma vi sono molte ong che invece aiutano le comunità locali anche sotto forma di servizi legali affinché queste possano far valere i propri diritti di fronte ai governi. Soprattutto diritti 'tradizionali', che nel caso della terra non si riflettono in titoli di proprietà ma ad esempio in usufrutto di lungo termine. Nel volume sono citati casi in cui si verificano veri furti della terra da parte di multinazionali. Sono situazioni frequenti? ROIATTI Ci sono stati alcuni episodi, ma spesso non si sa cosa accade davvero o si viene a sapere troppo tardi. Credo che la migliore risposta a questo tipo di situazioni sia di rafforzare la trasparenza degli accordi e avviare una maggiore concertazione con le comunità locali. Non è detto che questi contratti siano negativi di per sé. Ciò che ha suscitato perplessità in molti casi è che si sia trattato di accordi opachi che i governi locali hanno stipulato segretamente con le imprese o con governi stranieri. LA FERRARA Paradossalmente, questa mancanza di trasparenza nella gestione delle concessioni sulla terra può aiutare a risolvere un problema più generale. La trasparenza manca in tutte le concessioni di diritti di estrazione di minerali. In molti paesi in via di sviluppo non c'è modo, ad esempio, di sapere quanto pagano le compagnie petrolifere per una licenza. Potrebbe accadere che la richiesta di trasparenza sulle concessioni di terra si estenda ad altre risorse. E la trasparenza è indispensabile per rendere chi governa questi paesi 'accountable' verso i cittadini. L'informazione è quindi l'arma primaria per le popolazioni locali. LA FERRARA Il perché le popolazioni non siano informate è uno dei problemi chiave del sottosviluppo. La mancanza d'investimenti in istruzione e in infrastrutture in passato ha reso difficile la creazione di una società civile che potesse dare spazio ad alternative alla classe dirigente esistente. Credo che ci siano segnali di cambiamento, però lunghi decenni hanno lasciato il segno.

Franca Roiatti

ROIATTI Un caso emblematico e paradossale è quello dell'Etiopia, in cui una parte rilevante della popolazione dipende ancora dagli aiuti alimentari. Il primo ministro non è un campione di democrazia ed è uno dei più attivi nell'attrarre investimenti nella terra, contestati, e nella costruzione di dighe (a volte contestate anch'esse): opere che, dice, portano risorse delle quali il paese ha bisogno. La crescita economica etiope ha segno positivo (ma si parte da un livello talmente basso che non potrebbe essere diversamente), e il governo ha fretta di rispondere alle enormi necessità del paese. Fretta che può, però, comportare grossi rischi. È anche vero, tuttavia, che alcuni degli strumenti che la comunità internazionale possiede per rispondere a queste esigenze sono spuntati. In che senso? ROIATTI Nel senso che ci vuole troppo tempo per dare risposte. La Banca mondiale ci mette molti anni prima di dare il via libera a una grande opera. È vero che regole e controlli sono indispensabili, ma "Questo paese non ha tanto tempo", come mi ha detto un imprenditore che ha ultimato un progetto con i soldi della cooperazione italiana, "e dietro l'angolo ci sono i cinesi". Ed è successo: per realizzare in fretta una delle dighe il governo etiope si è affidato alla Cina. Si parlerà cinese in Africa tra qualche anno? LA FERRARA Sicuramente saranno molti i cinesi nel continente nel prossimo futuro. Gli accordi tra governi funzionano molto bene, la Cina non mette condizioni, quindi è un partner benvenuto, però è anche un partner che se deve costruire infrastrutture porta la propria manodopera. E questo non è sempre ben visto. In questi paesi è importante concentrarsi anche sulla qualità delle istituzioni locali.

LA FERRARA Ho notato che è fondamentale studiare il 'micro', capire come i villaggi percepiscono i cambiamenti di politica economica del governo. La partecipazione nelle riforme, negli accordi, da parte di comunità locali è molto importante affinché le persone non si sentano defraudate delle risorse. È una considerazione che decenni fa veniva fatta dai sociologi, oggi è fatta da chi si occupa di rendimenti: si è visto che gli interventi di sviluppo sono molto più efficaci quando si mettono in piedi strutture decisionali che partono dal basso. Nei progetti della Banca mondiale si è passati da un approccio in cui la negoziazione avveniva esclusivamente con i governi, a uno in cui è necessario un piano strategico che mostri come la società civile sia stata coinvolta. È quello che si sta facendo in Ruanda per quanto riguarda la privatizzazione della terra. ROIATTI Anche perché circa il 90% della terra, in Africa, è regolato da diritti diversi dalla proprietà come la intendiamo noi. Al G8 dell'Aquila il Giappone ha proposto un codice etico per regolare gli investimenti agricoli, proposta che è stata formalizzata al vertice Fao del novembre 2009: l'idea è dar vita a un codice di comportamento che ricalchi i "Principi dell'Equatore" per i finanziamenti delle grandi opere e i principi messi a punto per la trasparenza dell'industria estrattiva. Certo, in quanto codice etico, sarà volontario, non lo si potrà imporre alle aziende a meno che non diventi una convenzione internazionale dell'Onu vincolante per gli stati firmatari. Anche questo è dunque uno strumento relativamente spuntato: là dove non c'è obbligo... LA FERRARA In questo credo molto nella pressione che i media possono esercitare sulle grandi corporation. ROIATTI Tutto il fenomeno del neocolonialismo della terra è emerso d'altronde proprio grazie al caso Daewoo in Madagascar sollevato dal Financial Times.Il ruolo dei media quindi è fondamentale. Quanto servono invece gli aiuti internazionali? LA FERRARA Più che quanto, chiederei quando servono. Servono quando, in mercati imperfetti come quelli reali, vi sono paesi che hanno capacità limitata di prendere a prestito sui mercati finanziari internazionali. Nessuno, dunque, mette in dubbio che sulla carta gli aiuti possano alleviare vincoli finanziari. Il punto sul quale la professione si spacca è sull'implementazione. Secondo l'economista Bill Easterly la corruzione e l'inefficienza nel flusso degli aiuti fanno sì che questi, alla fine, possano creare effetti perversi. Meglio quindi non darli. Il focus di chi oggi cerca di salvare gli aiuti è di dire: mostriamo prima cosa funziona e poi investiamo su quello. Molti dei progetti che adesso anche i governi mettono in campo, per esempio nel settore dell'istruzione, partono da piccoli studi su ambiti locali. ROIATTI C'è poi da riflettere sulla macchina degli aiuti. C'è da chiedersi se a volte non sia la macchina che si autoalimenta a generare delle distorsioni. Se una ong straniera viene nel mio paese, costruisce e gestisce ospedali perfettamente attrezzati, perché, io governo, devo preoccuparmi di far funzionare il mio sistema sanitario? È una domanda provocatoria ma che, secondo me, molti si pongono. Il rischio poi è che alcune emergenze diventino 'croniche'.

Il volume "Il nuovo colonialismo" di Franca Roiatti

ROIATTI In molti casi è successo, bisogna interrogarsi sul perché certe emergenze si siano cronicizzate. Perché ogni primavera scatta l'allarme siccità nel Corno d'Africa e quindi la richiesta di aiuti e derrate alimentari 'a priori' per nutrire milioni di persone? Possibile che non si riesca a far sì che questi paesi raggiungano una maggior sicurezza alimentare? Ci sono delle situazioni che stanno per esplodere? LA FERRARA Più che altro, ci sono situazioni già esplose delle quali non si parla. A me sta particolarmente a cuore il caso della Repubblica Democratica del Congo, nella quale si verificano da anni atrocità impensabili e che non trovano spazio sui media. E colpisce la mancanza di abilità, o di volontà, delle forze internazionali che dovrebbero gestire la situazione. ROIATTI È anche vero che questa inabilità sul campo deriva spesso da un'oggettiva limitazione del mandato. Può darsi che sia facile nascondersi dietro i confini imposti dalle risoluzioni dell'Onu, ma i caschi blu che arrivano nei teatri di conflitto vi giungono con un compito preciso stabilito dal Consiglio di sicurezza. LA FERRARA Lascia perplesso, comunque, che ci siano posti dimenticati (un terzo del Centroafrica) per i quali non c'è sensibilità da parte dei governi internazionali, il che crea scarsa sensibilità dei cittadini. ROIATTI Questa è la dannazione di un continente che diventa importante soltanto quando entra nei giochi delle risorse. E credo che nel Congo abbiano alzato in molti bandiera bianca. Torniamo al neocolonialismo. Quali scenari riuscite a intravedere nel prossimo futuro? ROIATTI La novità più grossa è l'interesse del Sud verso il Sud. Il Brasile è attivissimo negli investimenti in campo agricolo, essendo la potenza agricola del mondo. Mentre un economista come Joseph Stiglitz suggerisce all'Africa di guardare a Est: i paesi del Nord del mondo, secondo lui, sono troppo presi a risolvere i problemi derivanti dalla crisi economica e non saranno in grado di sostenere i governi africani dal punto di vista finanziario. LA FERRARA Cina e India sono e saranno sempre più attive. È il motivo per cui la definizione di primo, secondo e terzo mondo è ormai una definizione superata. Si parla del ruolo del G8 rispetto agli altri consessi internazionali. Chi, in futuro, dovrà assolutamente farne parte? LA FERRARA Brasile, India, Cina, certamente. Il G8 è destinato ad allargarsi. ROIATTI Ma anche a cambiare. Adesso si parla di G2 Usa-Cina. Il G20 acquista sempre più peso. Probabilmente i paesi che oggi consideriamo emergenti a un certo punto si riuniranno senza Europa e Usa, perché non ne avranno più bisogno. Qual è allora il futuro di Europa e Stati Uniti? Parleremo cinese anche noi? ROIATTI La distribuzione demografica cambierà nei prossimi 40 anni. Noi, il vecchio mondo, contiamo oggi per il 17% della popolazione: conteremo per il 12%, meno che nel Settecento. E il peso del pil prodotto da Europa e Usa si ridurrà notevolmente rispetto a quello prodotto da altri paesi. LA FERRARA E cambierà anche il peso della formazione che noi forniamo a questi paesi. Le prime generazioni di cinesi studiavano e rimanevano negli Stati Uniti, oggi tornano in patria. Ci sarà sempre meno bisogno di noi in questo campo. La domanda a mio avviso è se il cambiamento drastico lo vedranno i nostri figli o i nostri nipoti.