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Supervisione finanziaria nell'Unione Europea: quando architettura e regole non vanno d'accordo

, di Giuliano Castellano
Giuliano Castellano, insieme a due colleghi, nell'analizzare il sistema di governo dei mercati rileva le possibili incoerenze tra gli approcci di regolamentazione e vigilanza dei mercati finanziari adottati dall'Unione Europea e l'assetto istituzionale preposto all'applicazione di tali approcci

L'apparato delle authority preposto a regolamentare e a vigilare i mercati finanziari nell'Unione europea è il frutto di un'evoluzione normativa silenziosa, che nel corso degli ultimi decenni ha gradualmente disegnato l'attuale architettura istituzionale al fine di creare un mercato unico. Recentemente – in risposta alle criticità del sistema di vigilanza comune che la crisi ha portato alla luce – una riforma strutturale più esplicita e diretta a ridefinire tale architettura è stata attuata creando tre autorità europee di supervisione, le European Supervisory Authorities (ESA). Prendendo spunto da tale riforma Giuliano Castellano (Dipartimento di Studi Giuridici) pone l'accento sulla relazione che intercorre tra i diversi assetti istituzionali di governo dei mercati e gli approcci di regolamentazione nell'articolo intitolato Reforming European Union Financial Regulation: Thinking through Governance Models (con Alain Jeunemaitre, Ecole Polytechnique, e Bettina Lange, University of Oxford, in European Business Law Review, Vol 23, No. 3, 2012, pp. 437-474).

L'analisi muove da una domanda a cui spesso è stata prestata poca attenzione, ma che costituisce un nodo cruciale per definire un'efficace attività di governo dei mercati. Appare necessario chiedersi, infatti, quale assetto istituzionale sia più adeguato a supportare efficacemente le attività di regolamentazione e vigilanza. Il risultato dell'indagine dimostra che sussiste un rapporto di coerenza tra assetto istituzionale (definito in termini di "architettura") e attività regolamentare (classificati in termini di "approcci di regolamentari").

In altre parole, lo studio rileva che, per un'efficace attività di governo, non è sufficiente definire "buone regole", ma è altresì necessario che l'architettura del sistema sia delineata in modo coerente con tali regole. Nel caso dei mercati finanziari europei, per assicurare questo rapporto di coerenza, appare opportuno riformare il Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (TFUE), evitando pericolose disarmonie tra l'approccio regolamentare adottato a livello centrale dalla Commissione europea e l'architettura decentralizzata, demandata ad applicare la normativa comune.

La Commissione europea – nei limiti del suo mandato ed in cooperazione con gli Stati membri – definisce le "regole del gioco" nei diversi settori della finanza. Parallelamente, le autorità nazionali di ventisette Stati, mediante complessi meccanismi di cooperazione, lavorano per assicurare un'uniforme attività di vigilanza all'interno del mercato unico. Tra questi meccanismi vanno menzionati i comitati di supervisione e i "collegi di supervisori", ossia network di autorità creati ad hoc per vigilare su operazioni che coinvolgono le competenze di diversi Stati membri. A seguito della crisi finanziaria, con lo scopo di aumentare la fiducia nell'attività di governo dei mercati i comitati sono stati sostituiti da tre ESA: l'European Banking Authority (EBA), l'European Securities and Markets Authority (ESMA) e l'European Insurance and Occupational Pensions Authority (EIOPA).

L'architettura che risulta da questa riforma appare basata su un approccio multi-livello caratterizzato da una separazione sostanziale tra attività regolamentari, definite dal legislatore europeo in attuazione delle politiche giuridiche comuni, e attività di vigilanza, condotte in modo decentralizzato dai collegi di supervisori, che non hanno una personalità giuridica definita. Questa separazione delle funzioni e dei poteri di governo dei mercati finanziari si traduce in un "doppio binario", con la conseguenza che, per un verso, un'autorità centrale (e sovranazionale) definisce un approccio regolamentare costituito da norme sempre più stringenti e, per altro verso, l'applicazione di tali norme è demandata a un apparato i cui poteri verso i singoli istituti finanziari sono strutturalmente limitati.

Le nuove autorità europee – derivando la loro legittimazione esclusivamente dall'art. 114 del TFUE (vecchio art. 95 TCE) – rappresentano una continuità con il sistema ante-crisi, poiché hanno la funzione primaria di assicurare il coordinamento tra il livello sovranazionale e quello nazionale. Su questi fondamenti giuridici si spiega come le ESA non abbiano poteri vincolanti diretti verso gli operatori del mercato, in quanto il loro ruolo consiste nel controllare che le autorità di vigilanza nazionali applichino uniformemente il diritto dei mercati finanziari europeo.

Secondo il già citato art. 114 del Trattato, infatti, le nuove authority sono semplicemente uno strumento per assicurare il "ravvicinamento legislativo" delle disposizioni normative degli Stati membri che hanno ad oggetto la creazione del mercato unico. La nuova riforma, da un punto di vista strutturale, non risolve completamente lo iato tra l'autorità preposta a definire le regole e le autorità chiamate ad applicare le stesse. Vi è da chiedersi, pertanto, se l'attuale architettura sia idonea ad applicare le sempre più stringenti regole contribuendo al buon funzionamento dei mercati finanziari in linea con le politiche comuni, ovvero, se questa separazione di poteri e funzioni non rischi di creare pericolose incongruenze.

Dallo studio emerge che un apparato di governo dei mercati finanziari per essere più coerente richiederebbe un allineamento tra architettura istituzionale e approccio regolamentare. A tal fine una struttura centrale dovrebbe essere preposta anche a condurre, in cooperazione con le autorità nazionali, attività di vigilanza diretta laddove vi siano operazioni finanziarie con un impatto sul mercato unico. L'esperienza del diritto europeo della concorrenza rivela che questo modello è possibile e giuridicamente attuabile solo nel caso in cui sia esplicitamente previsto dal Trattato. Ne consegue l'opportunità di riformare il Trattato.