Sapresti battere un index fund?
È una delle leggi più controintuitive della finanza: con una gestione attiva del portafoglio le performance non migliorano abbastanza da battere i rendimenti di un fondo che replica un indice.
A predirlo è la teoria dei mercati efficienti, secondo cui gli investitori non possono battere sistematicamente il mercato, neppure quando hanno informazioni riservate, perché i movimenti dei prezzi delle azioni sono troppo imprevedibili. Come è stato scritto: i mercati seguono percorsi sostanzialmente casuali. Il risultato è che, storicamente, si è sconsigliata la gestione attiva in favore di strategie passive, esortando gli investitori ad acquistare e mantenere, alla ricerca di guadagni di lungo periodo.
Queste teorie hanno guadagnato ampia credibilità e hanno fruttato diversi premi Nobel. Ma sono anche state sviluppate più di 50 anni fa e da allora sono cambiate molte cose. Oggi l'informazione finanziaria è più facilmente accessibile, spesso gratuitamente. La tecnologia ha ridotto la necessità dei broker, aumentando la velocità e riducendo i costi delle transazioni. Il tradizionale approccio "compra ai minimi, vendi ai massimi" non è più l'unica condotta vincente, dal momento che strategie sofisticate fanno sì che si possa guadagnare quando il prezzo degli asset diminuisce o rimane fermo e che questi guadagni possano essere moltiplicati attraverso prodotti leveraged. Con tutti questi progressi la tradizionale, pessimistica visione che non si possa battere il mercato con una gestione attiva è ancora valida?
La sfida più difficile non è sviluppare una teoria di come si batte il mercato - lo può fare chiunque, con più o meno successo. Ad essere sorprendentemente difficile è il test obiettivo di queste teorie, per via di seri problemi coi dati. Si possono utilizzare due approcci, ed entrambi hanno delle controindicazioni.
Un metodo consiste nel guardare indietro, usando dati storici di mercato. Si ottiene accesso a dati reali, ma si ottengono conoscenze che non si sarebbero avute al tempo. Ciò può comportare distorsioni dovute al pregiudizio di conferma (confirmation bias), che è simile al leggere l'ultimo capitolo di un giallo e poi avere la continua sensazione di sapere quel che accadrà. In breve: l'informazione di mercato è valida, ma la prospettiva dell'investitore no.
Un secondo approccio è guardare in avanti, utilizzando previsioni di mercato o generando dati casuali. Questo risolve il problema precedente, avvicinandosi di più all'incertezza che l'investitore si trova ad affrontare nella vita reale. Il problema: non c'è garanzia che una strategia che risulta vincente in teoria funzionerà davvero nella realtà. La prospettiva dell'investitore può essere valida, ma i dati di mercato non lo sono.
In Can Long-Run Dynamic Optimal Strategies Outperform Fixed-Mix Portfolios? Evidence from Multiple Data Sets (European Journal of Operational Research, Vol. 36, Issue 1, July 2014, doi: 10.1016/j.ejor.2014.01.030) Daniele Bianchi (Warwick Business School, già al Dipartimento di Finanza della Bocconi) e Massimo Guidolin (Dipartimento di Finanza) utilizzano un metodo ibrido, che vuole cogliere il meglio di entrambi i mondi. La loro soluzione è usare dati storici, dividendoli però in due set. Un set "in sample" è utilizzato per guidare le scelte di acquisto e vendita, mentre una batteria separata di dati "out of sample" serve a testare il modello in seguito. L'approccio consente a Bianchi e Guidolin di confrontare i rendimenti di diversi portafogli che rappresentano diverse strategie di gestione attiva basate su selezionati indicatori di rendimento futuro degli asset e due tipi di strategia passiva a replica di un indice benchmark. Quello che vogliono fare è rispondere a due domande di grande interesse.
Uno: c'è molta differenza tra la composizione di un portafoglio ottimo e il benchmark di mercato? Anche se i portafogli gestiti attivamente possono trarre beneficio da frequenti compravendite e ribilanciamenti dinamici, se la gestione attiva e quella passiva finiscono per avere un asset mix simile, qual è il punto di tutto questo sforzo supplementare? Due: quando i movimenti di mercato non sono conosciuti in anticipo, queste lezioni e questi benefici possono comunque essere usati nel mondo reale per avere rendimenti superiori? Combinando gli elementi utili a rispondere alle due domande, Bianchi e Guidolin riescono a invalidare la teoria? La risposta in breve è: sì e no.
Tra le gestioni attive e gli indici benchmark si registrano grandi differenze. Ciò conferma l'intuizione che l'investimento dinamico sia migliore, almeno in teoria. Tuttavia, utilizzare questa informazione per fare profitto è tutta un'altra storia. I ricercatori non trovano evidenza del fatto che questa informazione possa essere utilizzata per trarre benefici finanziari in situazioni reali. Sebbene i risultati indichino che i portafogli attivi, in alcune occasioni, abbiano performance migliori, non c'è una formula magica per predire quali siano le strategie di successo e quale sia la finestra temporale in cui rendono di più. Questo può non essere il risultato sperato dagli investitori, ma migliora la nostra conoscenza e aiuta a spiegare un paradosso che resiste al passare del tempo. L'intuizione che si possa battere il mercato è corretta, ma dal momento che solo una piccola minoranza dei fondi migliori riesce a ottenere questo risultato, gli indici rimangono un investimento intelligente e sicuro.