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Quando l'acquedotto scoppia

, di Davide Ripamonti
Il sistema giustizia in Italia rischia di collassare e nessun correttivo può funzionare in mancanza di una ristrutturazione profonda. L'analisi e i suggerimenti di Michele Vietti in un libro e in un convegno

Come un acquedotto nel quale entra troppa acqua che fatica a passare, perché i tubi sono rigidi e impossibilitati a dilatarsi. Con questa metafora Michele Vietti, vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, descrive il sistema giustizia in Italia in un libro, La Fatica dei giusti – Come la giustizia può funzionare (Egea),

La fatica dei giusti

presentato lunedì 21 novembre all'Università Bocconi alla presenza di Giulia Bongiorno, presidente della II Commissione giustizia della Camera, Giovanni Canzio, presidente della Corte d'appello di Milano, Manlio Minale, Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Milano, e Giovanni Iudica, direttore della Scuola di Giurisprudenza della Bocconi, moderatore Luigi Ferrarella, Corriere della Sera.

"Il problema delle troppe cause che intasano il sistema giudiziario", spiega Giulia Bongiorno citando la sua categoria, "coinvolge l'etica e la formazione di ogni singolo avvocato. Quando un cliente chiede all'avvocato se ci sono gli estremi per una querela, questo deve avere il rigore di dire di no, se giudica che non ci siano; invece molti, anche per non deludere il cliente, decidono di procedere. Con il risultato di intasare il sistema e poi vedersi comunque rigettare la causa".
Quello di Giulia Bongiorno non è solo il punto di vista di un avvocato e di un politico, i processi in corso e in attesa in Italia sono in numero tale da mettere tutti d'accordo. Sulla necessità di interventi per snellire alla fonte il sistema, infatti, concorda anche un magistrato come Giovanni Canzio: "Mi aspetto dalla Commissione giustizia una politica di largo respiro, bisogna evitare che milioni di cause civili entrino nel circuito ordinario trovando canali alternativi di conciliazione. I giudici di pace sono importanti, ma gli uffici vanno diminuiti e accorpati. In Italia abbiamo ogni anno 50 mila ricorsi penali che approdano in Cassazione, in Inghilterra su 50 mila che vengono sottoposti alla Corte d'appello, solo 5 mila vengono poi trattati, gli altri sono ritenuti irricevibili perché giudicati equamente in primo grado. Per riprendere quanto detto dal prof. Iudica nella sua introduzione", continua Canzio, "a proposito degli avvocati cassazionisti che in Germania, dove la giustizia funziona, sono in tutto 40, ricordo che in Italia sono invece 40 mila".

Numeri che ci mettono fuori gioco e posizionano l'Italia nelle retrovie per quanto riguarda l'efficienza della giustizia. Il sistema va quindi reso più efficiente con una riforma profonda che veda il potere politico e quello giudiziario finalmente dialogare, non più schierati su fronti contrapposti. La giustizia dev'essere vista come un servizio che ha nel cittadino l'interlocutore privilegiato: "La contrapposizione serviva come alibi per non cambiare niente", dice Vietti rivolgendosi sia ai politici sia ai magistrati, "adesso l'alibi è caduto. La crisi economica può essere, incalzati dall'emergenza, una buona occasione per il cambiamento, perché la giustizia non è una variabile indipendente dell'economia. I palazzi della giustizia", continua il vicepresidente del Csm, "sono il crocevia dove si gioca la competitività del Paese, perché gli investitori allocheranno le loro risorse in paesi dove il sistema giustizia funziona". E a chi parla, senza essere troppo informato, di un numero eccessivo di magistrati in Italia, Vietti ricorda: "Da noi il numero di magistrati è in linea con gli altri paesi, in più abbiamo 11 mila giudici onorari. Quello che va eliminato è per esempio il pagamento a cottimo di questi giudici, che incentiva il proliferare di cause".

Gran parte della colpa di questo, però, è della politica, senza distinzione di colore, che getta sempre più sassolini nei già delicati ingranaggi della giustizia: "Vengono creati a ogni legislatura una serie di nuovi reati che fanno scattare un'azione penale obbligatoria che coinvolge moltissimi magistrati", riprende Vietti, "anche per casi che non creano allarme sociale. Bisogna ridurre il flusso del rubinetto". E se il problema è più forte in alcune aree del Paese ("il 52% delle cause per incidenti stradali in Italia sono in Campania"), sulla necessità di ridurre drasticamente ovunque i numeri dei procedimenti concorda anche il procuratore Minale, che ricorda come "il 60% delle denunce penali nel distretto di Milano va in archiviazione, e solo una piccola parte si conclude con una sentenza di condanna".
Numeri che fanno capire perché, in Italia, ci siano 9 milioni di processi pendenti. A studiosi e politici Vietti fornisce nel suo libro una serie di soluzioni per risolvere a costo zero, anzi guadagnandoci, un problema diventato insostenibile.