Omaggio a Chevrier
Ferdinando Chevrier è stato uno di protagonisti del MAC (Movimento Arte Concreta), il movimento astrattista fondato a Milano nel 1948 da Gillo Dorfles, Munari, Soldati e Monnet. L'aggettivo "concreta", coniato nel 1930 da Van Doesburg, vuole appunto ribadire che gli astrattisti non imitano la realtà che vedono, ma concretizzano una forma che inventano.
All'interno del MAC, e più ancora nei decenni successivi quando si avvicina all'informale e poi torna alla geometria, Chevrier coltiva soprattutto un'idea di movimento.
"Le sue composizioni amano svilupparsi per linee diagonali dinamiche per eccellenza, e negli anni Ottanta, in particolare, evocano cilindri o spirali rotanti, suggerendo una mobile, misteriosa tensione", spiega Elena Pontiggia.
Chevrier riprende in questo modo le istanze del futurismo, ma anche l'allons plus vite ("andiamo più in fretta!") di Apollinaire, che era insieme un sogno, un desiderio, un comando.
Il movimento che dipinge l'artista livornese - ma milanese d'adozione - non è però legato alla macchina. È una tensione espressa dai soli segni, dal loro semplice torcersi e ruotare.
Chevrier ricorda così che il primo movimento è il moto dell'anima e "moto" ha a che fare anche con "emozione". Nelle sue tele il dinamismo, che è poi un sinonimo della vita, riprende la sua dimensione inafferrabile. Come qualcosa che, fuggendo, ci Sfugge.
Ferdinando Chevrier (Livorno 1920-2005) esordisce nel 1948. Dopo le prime prove figurative si dedica all'astrattismo geometrico. Nel 1950 aderisce al MAC ed espone in una personale presentata da Dorfles, oltre che nelle collettive del gruppo. Intorno al 1956 si avvicina all'informale, ma a partire dagli anni Settanta torna a una geometria dai forti caratteri dinamici. Nel 1974 si trasferisce a Milano, dove vivrà per trent'anni. Scompare nel 2005 a Livorno.
La mostra sarà visitabile sino a 13 gennaio 2017, lunedì-sabato: 9.00-12.00