Non basta un nuovo ricercatore per migliorare la performance
Assumere nuovi scienziati più produttivi è considerato un modo efficace per migliorare la performance di un'organizzazione di ricerca attraverso un effetto diretto (il contributo del nuovo assunto) e lo stimolo alla produttività degli scienziati già attivi. Una nuova ricerca di Andrea Fosfuri (Dipartimento di Management) con Kremena Slavova (Middlesex University Business School) e Julio De Castro (IE Business School) evidenzia che l'effetto positivo sugli altri scienziati è piuttosto limitato e soggetto a condizioni.
In Learning by Hiring: The Effects of Scientists' Inbound Mobility on Research Performance in Academia (di prossima pubblicazione su Organization Science, pubblicato in anteprima online, doi: 10.1287/orsc.2015.1026) i tre accademici analizzano l'effetto delle politiche di reclutamento di 94 dipartimenti universitari di chimica e ingegneria americani, utilizzando come misura della performance il numero di articoli scientifici pubblicati. Anche se l'effetto totale sulla produttività degli altri scienziati è limitato, tre fattori possono esaltarlo.
- L'effetto è maggiore sui ricercatori con un'anzianità di servizio (tenure, in termini accademici) minore. "I meccanismi che si ritiene aumentino la produttività degli altri ricercatori sono l'apprendimento localizzato e la pressione sociale", spiega Fosfuri, "e gli accademici con tenure più breve sono sia più aperti all'apprendimento, perché non ancora condizionati dalle routine e dai vincoli, sia soggetti a una pressione maggiore, perché è più probabile che siano sottoposti a processi di valutazione. Mentre la produttività degli accademici con meno di cinque anni di tenure aumenta del 2,5% quando viene assunto un nuovo ricercatore, la produttività di quelli con più di cinque anni di servizio diminuisce del 2%.
- L'effetto è maggiore nei dipartimenti focalizzati su pochi temi e poche metodologie. "L'apprendimento è molto specifico", prosegue Fosfuri, "e se tutti studiano gli stessi temi, tutti apprenderanno qualcosa, altrimenti solo i ricercatori con maggiori affinità disciplinari finiranno per esporsi al processo di apprendimento".
- L'effetto è maggiore nei dipartimenti con una più forte cultura di collaborazione interna, misurata dalla quota di articoli scientifici scritti da più ricercatori dello stesso dipartimento.
"Un effetto così piccolo ci ha sorpresi", ammette Fosfuri, "ci aspettavamo una magnitudo diversa. Ad ogni modo, l'effetto complessivo è maggiore, perché i nuovi arrivati portano anche un contributo diretto e collaborano, in lavori congiunti, con gli scienziati già attivi".
Il risultato ha almeno due importanti implicazioni manageriali. Prima di tutto, non pensiate di cambiare la vostra organizzazione assumendo uno o due nuovi ricercatori. "Il successo della politica di reclutamento di un'organizzazione può dipendere dalla sua capacità di non perdere gli scienziati già attivi e di migliorare la loro produttività. Migliorare la performance di ricerca è un processo lungo, che richiede uno sforzo di reclutamento sostenuto e di parecchi anni", scrivono gli autori.
Secondo, assumere non basta, senza buone politiche del personale: "Rinnovare le capacità di ricerca di un'organizzazione richiede tempo e impegno. Per beneficiare compiutamente della mobilità in entrata, l'organizzazione dovrebbe attivare processi interni di condivisione della conoscenza e di collaborazione. I nostri risultati evidenziano importanti complementarità tra le politiche che sostengono la collaborazione interna e quelle finalizzate ad aumentare la mobilità in entrata".