Nature: La natalita' torna a crescere nei paesi piu' avanzati
Nel 1974, in un'atmosfera di paura per le conseguenze della sovrappopolazione del pianeta, uno degli slogan della conferenza mondiale sulla popolazione di Bucarest era "il miglior contraccettivo è lo sviluppo economico". A 35 anni di distanza, in un'atmosfera di paura per la denatalità che ha colpito i paesi ricchi, possiamo dire che "il migliore stimolo alla natalità è l'ulteriore sviluppo". Oltre un certo livello di sviluppo socio-economico la relazione storicamente negativa tra sviluppo e numero di figli, infatti, si inverte e il tasso di fecondità torna ad aumentare.
Lo dimostrano Francesco Billari dell'Università Bocconi, Hans Peter Kohler e Mikko Myrskylä (entrambi della University of Pennsylvania) in un articolo che sarà pubblicato sul prossimo numero di Nature, disponibile nel sito internet www.nature.com da giovedì 6 agosto: Advances in Development Reverse Fertility Declines (Un maggiore sviluppo inverte il declino della fecondità).
Negli scorsi decenni il legame inverso tra sviluppo socio-economico e numero medio di figli "è diventato una delle regolarità empiriche più consolidate e riconosciute nelle scienze sociali. Come risultato di questo stretto legame tra sviluppo e declino della fecondità, più di metà della popolazione mondiale", scrivono i tre autori, "vive in regioni a tasso di fecondità sotto la soglia di equilibrio".
Se, come fanno Billari, Kohler e Myrskylä, misuriamo lo sviluppo delle nazioni con l'Indice di sviluppo umano (un indicatore utilizzato dal Programma delle Nazioni unite per lo sviluppo, che combina aspettativa di vita, reddito e alfabetizzazione) e lo mettiamo in relazione al tasso di fecondità (numero medio di figli) ci accorgiamo che, dai primi anni del XXI secolo, si assiste a un'inversione di tendenza nelle nazioni che raggiungono un livello di sviluppo umano molto alto. A livelli bassi o intermedi una crescita nell'Indice di sviluppo umano continua a tradursi in una riduzione della fecondità, ma oltre un certo livello un ulteriore sviluppo comporta un aumento delle nascite. Il punto di svolta si attesta attorno a livelli dell'Indice di 0,86 (nel 2008 lo superavano 46 nazioni su 179) e l'aumento della fecondità, quando questo punto viene superato, è più veloce del declino precedente.
"L'individuazione di questa relazione", dichiara Francesco Billari, "significa che i timori di invecchiamento della popolazione del mondo sviluppato emersi negli ultimi anni, per quanto fondati, sono esagerati dalla previsione che nei paesi avanzati a un maggiore sviluppo si accompagni un ulteriore declino della natalità".
I dati non fanno in nessun modo pensare che, nel prossimo futuro, il mondo sviluppato possa tornare al tasso di fecondità di equilibrio (2,1 figli per ogni donna), ma i tre autori ritengono che la popolazione dei paesi più sviluppati possa rimanere stabile dove si assista a una dinamica migratoria vivace e declinare solo lentamente dove il fenomeno migratorio sia poco diffuso.
La relazione osservata da Myrskylä, Kohler e Billari è piuttosto robusta, ma esistono delle eccezioni, prime tra tutte Giappone e Corea del Sud, dove non si è assistito all'inversione di tendenza, nonostante livelli molto alti dell'Indice di sviluppo umano. Per comprendere appieno i motivi di tali eccezioni, i tre studiosi invocano una migliore comprensione di come flessibilità del mercato del lavoro, sicurezza sociale, uguaglianza economica e di genere e politiche sociali e per la famiglia stimolino un più alto livello di natalità nelle società avanzate. "Analisi condotte in Europa", scrivono gli autori, "mostrano una relazione positiva tra la fecondità e indicatori di innovazione nel comportamento familiare o nella partecipazione femminile al mercato del lavoro. A livelli avanzati di sviluppo i governi potrebbero opporsi al declino della fecondità implementando politiche che migliorino l'uguaglianza di genere e la compatibilità tra successo economico (partecipazione al mercato del lavoro compresa) e vita familiare", aspetti che non contraddistinguono certo i giganti economici asiatici.