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L’innovazione vince anche in cucina. Il ‘caso D’O’

, di Davide Ripamonti
In una lezione del corso Gestione della tecnologia, dell’innovazione e delle operations la testimonianza dello chef Davide Oldani, protagonista in un settore importante per chi si occupa di innovazione e creatività
Davide Oldani

Tradizione e innovazione, alta qualità, grande cucina e prezzi accessibili, connubi vincenti non contraddizioni. Il segreto del successo di Davide Oldani e del suo ristorante D'O a Cornaredo, aperto sei anni fa, è riassumibile in questi concetti e non deve sorprendere che il "caso D'O" sia stato al centro di una lezione del corso "Gestione della tecnologia, dell'innovazione e delle operations" diretto da Salvio Vicari.

"Si tratta di un corso fondamentale per il management, rivolto agli studenti del terzo anno del Cleam e propedeutico in particolare al biennio specialistico Emit ", dice Gianmario Verona, docente del corso, "nel quale si pone enfasi sui processi di innovazione delle aziende e sui processi di gestione delle innovazioni e delle operations". Il ricorso a testimonial è prassi consolidata nella metodologia classica delle business school, "perché favorisce una forte interazione con gli studenti", spiega Verona, "e consente di dare un apporto operativo alle cose che insegniamo in classe".
Ma perché la scelta di un testimonial di un settore così particolare come la ristorazione?"L'innovazione è da sempre una strategia vincente nel fine food perché consente di affermarsi in un panorama altamente frammentato", dice il docente della Bocconi, "in più, non esistendo la possibilità di brevettare le innovazioni, l'unica modalità per proteggere l'innovazione è continuare a innovare".Senza sottovalutare l'innovazione di prodotto (Oldani è un grande cuoco, allievo di Gualtiero Marchesi e Alain Ducasse, e creatore a sua volta di piatti ormai diventati 'classici'), quella di Oldani si può inquadrare soprattutto come un'importante innovazione di business model. "L'abilità di Oldani è stata quella di spostare radicalmente l'attenzione sull'esperienza e sul contesto di utilizzo", riprende Gianmario Verona, "la sua innovazione da un lato ha reso il prezzo una variabile indipendente rispetto alla qualità (al D'O, che ha una stella Michelin e giudizi lusinghieri su tutte le guide gastronomiche, è in lista un menù degustazione di quattro portate a 32 euro) e la sua cucina è idiosincratica rispetto al contesto in cui si inserisce". In più, aspetto altrettanto importante, è che in questo caso l'innovazione si apre a una serie di elementi che definiscono l'esperienza del punto di vendita e che rappresentano gli strumenti dell'utente: una particolare forchetta, un piatto inclinato e un bicchiere, tutti elementi che innovano nel design e che insistono sul business model."Potevo essere l'ennesimo ristorante a 150 euro, con il mio nome e la mia faccia in copertina", spiega Oldani agli studenti, "e un finanziatore alle spalle, che poi magari spariva alle prime difficoltà. Ho scelto invece una strada diversa, con meno introiti immediati ma con prenotazioni che mi coprono per un anno intero".Una strategia non studiata a tavolino, ma nata spontaneamente e figlia del contesto (l'hinterland milanese) nel quale Oldani è cresciuto e opera."La chiave di volta di un'innovazione di questa natura", prosegue Verona, "è la valorizzazione delle competenze legate sia al capitale umano (il team di collaboratori) sia agli incentivi che vengono trasferiti per favorire una formazione finalizzata al progetto, sia per stimolare con continuità innovazioni e soddisfazione negli utenti. Perché anche nel fine food, dove sembra prevalga l'arte", chiosa Verona, "l'innovazione è sempre più un problema strategico e organizzativo".