La repubblica giuridificata
Ruolo della magistratura, debolezze della politica, inefficienze del sistema giudiziario: molti i temi discussi ieri all'ultima conversazione di Economia e società aperta, in Bocconi, da Romano Vaccarella, ordinario di diritto processuale civile, già giudice della Corte Costituzionale, e Luciano Violante, ordinario di diritto e procedura penale e presidente della Camera dal 1996 al 2001, moderati da Luigi Ferrarella, del Corriere della Sera. Con loro Alberto Alessandri, ordinario di diritto penale alla Bocconi, che ha introdotto il tema snocciolando numerosi dati sullo stato del nostro sistema giudiziario.
Da questi emerge, tra le altre cose, una forte disomogeneità dell'efficienza e della velocità della risposta giudiziaria sul territorio. Per quanto riguarda le variazioni delle pendenze nei processi civili, "spazia dallo -0,72% di Castrovillari al +5,13% di Lecco", dice Alessandri. Una lotteria per il cittadino destinato ad attendere il corso della giustizia per anni. "Quando si sentono i dati", dice Violante, "si dice sempre facciamo le riforme, ma quando vi sono differenze così rilevanti da luogo a luogo, pur a parità di normativa, il problema non sono le norme". Le carenze risiedono piuttosto nell'organizzazione: "Dei 165 tribunali italiani, 80 hanno un numero di giudici inferiore a 20, che è il numero minimo. La metà dei tribunali, quindi, non sono in grado di svolgere le loro funzioni", spiega Violante. "Dovremmo concentrare i tribunali solo nei capoluoghi di provincia", propone. Ma gli ultimi interventi legislativi che hanno riguardato la giurisprudenza civile, si domanda Ferrarella, sono serviti a qualcosa? "Non credo", commenta Vaccarella, aggiungendo che "si continua in realtà a riformare, ipotizzando, per esempio, di potenziare le competenze del giudice di pace, ma senza in realtà verificare se c'è un effettivo alleggerimento del lavoro per gli altri giudici". Rivedere l'organizzazione delle circoscrizioni sembra allora necessario. Il problema, è che "questo tipo di riforma o si fa insieme o non si fa", sottolinea Violante. "Una cosa del genere però va fatta a inizio legislatura". Altro elemento di discussione è l'enorme ricorso all'azione giudiziaria nel nostro paese. "La nostra costituzione stabilisce che anche per una sentenza da 2 euro sia possibile ricorrere in cassazione", commenta Vaccarella, "e questa facoltà viene utilizzata". Possibile pensare a un qualche filtro per il ricorso a questa corte, si chiede Ferrarella? "Non allo stato attuale: tutte le ipotesi di filtro sono state rigettate come incostituzionali. Dobbiamo liberarci un po' da questa cultura, perché la tutela integrale giudiziaria è onerosa". Una possibile soluzione è quella proposta da Violante: "Introdurre il principio dello stare decisis sui pronunciamenti della cassazione", avvicinandosi così a uno degli elementi che caratterizzano il common law, ossia il principio del precedente, e cercando almeno in parte di omogeneizzare i pronunciamenti dei giudici. Alessandri non è d'accordo: "Un'alternativa è un intervento del legislatore che chiarisca i punti in caso di legislazione controversa. Lo preferisco rispetto alla decisione di un consesso come è la Cassazione". L'indipendenza del giudice nella sua decisione, "è interpretata spesso come possibilità di fare ciò che si vuole, ci vorrebbe un minimo di uniformità che crei certezza del diritto". Qualora ci fosse una forma di indirizzo, uno stare decisis, "ogni sezione non si pronuncerebbe in maniera diversa da ogni altra. Lo stare decisis non deve però essere imposto per legge, ma deve entrare nella cultura". "C'è una visione proprietaria della causa da parte del giudice", aggiunge Violante tirando in ballo un'altra questione fondamentale: il ruolo della magistratura oggi. "Questo spostamento dell'asse "dall'arresto dei corruttori e dei mafiosi alla lotta alla corruzione e alla mafia da parte della magistratura è colpa della politica". Quest'ultima avrebbe scaricato sui giudici la responsabilità di interventi che invece le competerebbero, aumentandone, gioco forza, l'influenza. E aggiunge Alessandri: "Se la politica lascia alla magistratura questa responsabilità, significa che non è in grado di risolvere quei problemi. Ma dare mandato significa lasciare l'autonomia, anche con tutti gli aspetti negativi che comporta". Infine, la separazione delle carriere. "In Portogallo esiste e i giudizi non sono così positivi", dice Violante. "Colgo però il punto", aggiunge. "Il giudice deve controllare l'operato del pm, come lo fa appartenendo alla stessa categoria?".