
La memoria che plasma il rischio
Cosa crediamo quando ci troviamo di fronte a qualcosa di totalmente nuovo, come una pandemia o una rivoluzione dell’intelligenza artificiale, e non abbiamo esperienze passate confrontabili su cui fare affidamento? L’economia tradizionale dice che usiamo la statistica e l’inferenza razionale, aggiornando le nostre convinzioni come se fossimo calcolatori bayesiani. Ma la vita reale non funziona così. Durante il COVID le persone non si limitavano a guardare i dati, ma provavano paura, ricordavano che i loro cari si erano ammalati e immaginavano gli scenari peggiori.
Nel loro nuovo lavoro Imagining the Future: Memory, Simulation, and Beliefs, pubblicato sulla Review of Economic Studies, Nicola Gennaioli (Dipartimento di Finanza e IGIER, Bocconi), Pedro Bordalo (Università di Oxford), Giovanni Burro (Università di Heidelberg), Katherine Coffman (Harvard Business School) e Andrei Shleifer (Università Harvard) presentano un nuovo modello di formazione delle convinzioni basato non sulla statistica, ma sulla memoria, sulla simulazione mentale e sulla somiglianza. La loro ipotesi è che non ci limitiamo a calcolare, ma ricordiamo, confrontiamo, immaginiamo. E questo fa la differenza.
La teoria: le convinzioni sono costruite dalla memoria selettiva
Gennaioli e i suoi co-autori sostengono che quando ci troviamo di fronte a nuovi rischi, simuliamo gli esiti ricordando le esperienze passate, soprattutto quelle che ci sembrano simili alla minaccia attuale. Ma il nostro cervello non ricorda tutto allo stesso modo. Favorisce le esperienze più facili da recuperare o più vivide, anche se sono solo vagamente correlate. Questo processo di memoria selettiva crea due effetti:
- Simulation Boost: se un’esperienza sembra simile alla minaccia attuale, aumenta la nostra stima del pericolo.
- Effetto di interferenza: La stessa esperienza può escludere ricordi più rilevanti, distorcendo il nostro giudizio.
“Quando una persona pensa a un evento”, scrivono, “diverse esperienze competono per essere recuperate... Le esperienze recuperate vengono poi utilizzate per simulare l’evento in base alla loro somiglianza con esso.” Questa idea di simulazione della memoria guidata dalla somiglianza si distacca nettamente dall’economia classica, che presuppone che le persone operino su informazioni coerenti e rilevanti.
Il modello introduce una gerarchia di effetti dell’esperienza basata sulla somiglianza. Le esperienze specifiche di un certo dominio (DS), come conoscere qualcuno che ha avuto la COVID, hanno un peso maggiore. Ma le esperienze non specifiche del dominio (NDS), come il ricordo di un ricovero per un’altra malattia, possono ancora influenzare le convinzioni, a volte anche di più.
L’esperienza COVID: quando la memoria batte il dato
Gli autori hanno testato la loro teoria utilizzando tre sondaggi statunitensi condotti nel 2020. I risultati sono stati eloquenti:
- Le persone sovrastimavano il tasso di mortalità del COVID. La media dei rispondenti la situava circa all’8,6%, mentre le stime scientifiche erano intorno allo 0,68%.
- Le persone che avevano recentemente subito ricoveri non correlati erano più pessimiste riguardo al COVID.
Ancora più sorprendente è il fatto che gli anziani, i soggetti più a rischio, erano meno pessimisti dei giovani. Perché? Gli autori sostengono che ciò sia dovuto al fatto che gli individui più anziani hanno più esperienze di vita, che diluiscono il segnale di memoria dei rischi specifici del COVID. Le loro menti erano affollate di esperienze dissimili che interferivano con quelle più rilevanti.
Come spiega l’articolo, “le esperienze e la loro somiglianza misurata con l’evento specifico aiutano a spiegare gli effetti dell’esperienza, gli effetti di priming e l’interazione tra i due nel formare le convinzioni.”
L’esperimento: cyberattacchi e priming
Per testare ulteriormente il loro modello, i ricercatori hanno condotto un esperimento nel 2023 sulle credenze relative a un attacco informatico. Ad alcuni partecipanti è stato chiesto di ricordare una specifica esperienza passata (come un furto d’identità o uno stress finanziario) prima di stimare la probabilità di un grave attacco informatico. Questa modalità si chiama tecnicamente “priming”. Ecco i risultati principali:
- Il priming ha funzionato: quando alle persone sono state ricordate esperienze simili, hanno stimato più alti i rischi di cyberattacco.
- Ma l’effetto dipendeva dalla somiglianza percepita. Il priming sul furto d’identità ha avuto un impatto maggiore rispetto allo stress finanziario.
- Ancora più importante, il priming di un’esperienza ha soppresso le altre, confermando la previsione dell’interferenza.
Questo esperimento ha fornito una netta conferma della teoria. “Le convinzioni sono modellate endogenamente da ciò che viene ricordato e da come viene usato”, concludono gli autori, “e in particolare le esperienze specifiche del dominio possono non essere recuperate”.
Navigare nell’ignoto
Noi non pensiamo per categorie nette, ma per ricordi. Quando il futuro è incerto, simuliamo ciò che potrebbe accadere usando il passato che ricordiamo, non solo i fatti che conosciamo. Questo lavoro non si limita a dimostrare che la memoria influenza le convinzioni, ma mostra come lo fa e perché è importante.
Basando la formazione delle convinzioni sulla somiglianza, sul richiamo selettivo e sulla simulazione mentale, gli autori offrono un modello cognitivo che spiega perché le persone reagiscono in modo eccessivo a eventi rari, reagiscono in modo insufficiente a rischi reali e si trovano in disaccordo in modo così netto anche quando si trovano di fronte alla stessa realtà. Si tratta di una sorprendente riformulazione del funzionamento del giudizio, non come un difetto del ragionamento, ma come un meccanismo profondamente umano per navigare nell’ignoto.